L'intervista
venerdì 12 Luglio, 2024
di Giacomo Polli
Fine settimana ricco di eventi a Pergine per quelli che saranno gli ultimi giorni della quarantanovesima edizione del Festival cittadino iniziato lo scorso 29 giugno. A chiudere le danze nella giornata di domenica saranno lo showcase di Frankie Hi-Ngr Mc e la messa in scena di «Senti come suona» di Silvia Calderoni, preceduti da uno degli spettacoli più attesi dal pubblico: «Italia Mundial» di Federico Buffa, in programma ieri sera 12 luglio alle 20.45 al teatro comunale, dove il noto volto di Sky Sport porterà sul palco il racconto dell’indimenticabile vittoria della nazionale italiana ai mondiali del 1982 attraverso storie e aneddoti che hanno caratterizzato il successo azzurro.
Buffa, nella storia del nostro Paese ci sono state diverse e importanti imprese. Perché ha scelto di portare a teatro proprio i mondiali 1982?
«Soprattutto per il contesto storico del nostro Paese, che veniva dalla prima Repubblica. Inoltre questi giocatori arrivavano da un mondo più simile e vicino a quello degli spettatori. Ad esempio Zoff e Gentile facevano gli operai, Conti scaricava le bombole del gas per suo padre e Tardelli lavorava come cameriere. Sono ragazzi che sono rimasti nell’immaginario degli italiani perché avevano fatto fatica e avevano visto i loro genitori uscire dalla guerra. Questo ha reso quella squadra lì qualcosa di diverso. In più le vicende sono state molto movimentate, complesse, contraddittorie. Dal ruolo di Paolo Rossi al ruolo di Bearzot, ci sono tantissimi capitoli che non sono mai stati replicati nella storia del calcio italiano da quel momento in poi».
Osservando la storia della nostra Nazionale vediamo come gli ultimi successi (1982, 2006 e 2021) siano arrivati in momenti di estrema difficoltà per il movimento calcistico. Possiamo affermare che per fare bene questa squadra ha bisogno delle difficoltà?
«È un orrenda considerazione ma tremendamente giusta, gli italiani sono molto più forti quando sono sfavoriti e fanno gruppo. È una questione di storia del Paese».
La storia più particolare del mondiale 1982?
«La storia delle storie è ovviamente quella di Paolo (Rossi, ndr), che Bearzot vuole a tutti i costi andando contro tutto e contro tutti. L’attaccante era stato assolto con formula piena dalla giustizia ordinaria ma non da quella sportiva, era infatti squalificato per illecito. Il ct lo avvicina dicendogli che se fosse stata un’olimpiade avrebbe avuto qualche problema a convocarlo. Il mondiale è però organizzato dalla Fifa che non è mai stata specchiata e mai lo sarà, quindi gli dice che si poteva fare. Tra l’altro anche recentemente è stato chiamato in nazionale un calciatore squalificato per scommesse appena è stato possibile farlo (Nicolò Fagioli, ndr), quindi vuol dire che questo sistema in Italia si può usare. Magari in altre parti meno, ma da noi sì, o almeno non è sanzionabile moralmente».
È stato il mondiale più entusiasmante della storia azzurra?
«La storia dell’82 non ha oggettivamente eguali, come non ha eguali il fatto che due di quei campioni siano morti prematuramente — Scirea prima e Rossi poi — e nel primo caso veramente in modo devastante. Inoltre non c’è più stato, credo, un giocatore come Bruno Conti per caratteristiche tecniche nella storia del calcio italiano: ha rappresentato uno degli ultimi ad avere la fantasia».
Crede che Bearzot abbia ricevuto il giusto riconoscimento o sia stato dimenticato troppo velocemente?
«Il tempo passa ed ad oggi sono passati più di 40 anni. Lui non ha allenato squadre di club né prima né dopo, di fatto entra nel giro della Nazionale chiamato da Valcareggi, quindi viene ricordato per quel mondiale. Credo che ci sia un’espressione che vale più di ogni altra cosa: quella sulla faccia dei suoi ex calciatori quando portano la bara del ct fuori dalla chiesa. Erano molto legati, lo chiamavano continuamente. Bearzot aveva un ruolo superiore a quello che un allenatore normalmente ha. Sono storie di un mondo che non c’è più».
Tra le figure più simboliche del mondiale 1982 anche quella di Sandro Pertini…
«Lui è arrivato la mattina presto, l’hotel era vicino all’aeroporto e alle 9 era già lì. Al giocatori disse “noi i tedeschi li abbiamo cacciati, voi?”, il tutto per mettere un po’ di pressione alla squadra. Poi però anche il primo che entra nello spogliatoio e dice la cosa più giusta di tutte: “Non avete idea di che favore avete fatto al vostro Paese”. A quei tempi c’era più passione, molta più passione. Era un mondo più facile da questo punto di vista».
Portare a teatro uno spettacolo a sfondo sportivo è anche un modo per promuovere la cultura aldilà del calcio?
«Sì, se ci riesci sì. Mi piace avere sempre la possibilità di una digressione funzionale, cioè parti da una storia centrale e aggiungi poi altre cose. Sicuramente si prova a farlo, poi che riesca è un altro discorso (ride, ndr)».
Cosa ricorda maggiormente di quel periodo?
«La descrizione dei giocatori dell’attacco del Brasile, composto da giocatori come Zico. Ad oggi non c’è un giocatore così. Soprattutto come approccio e atteggiamento, era di un altro pianeta, sia umanamente che tecnicamente».
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