Elezioni
mercoledì 18 Settembre, 2024
di Simone Casciano
Che un trentino doc, «gardolotto» per la precisione, sia candidato presidente della regione Emilia Romagna può sembrare strano, quasi impossibile: eppure è proprio quello che è successo con la candidatura di Federico Serra a capo di una lista unitaria che riunisce Potere al Popolo, Rifondazione Comunista e Partito Comunista italiano. Strano e impossibile, due aggettivi da tenere a mente. Perché strano non è per chi conosce la storia di Federico Serra: 33 anni, gli ultimi 13 passati a Bologna, prima per laurearsi in Scienze Politiche e poi lavorando nelle cooperative e impegnato come delegato sindacale. Serra è attivo in politica fin da giovane, quando è stato per due volte rappresentante d’istituto del liceo «Da Vinci», leader del movimento studentesco «L’Onda», attivo anche al Centro Sociale Bruno e proviene da una famiglia in cui si respira politica: il padre Paolo è stato consigliere comunale a Trento, mentre il fratello Nicola lo è adesso ed è anche presidente di Futura. Impossibile nemmeno, perché nella sua storia politica Serra ha sempre combattuto sfide in salita, proprio come quella che si trova davanti. In vista delle elezioni del prossimo 16 e 17 novembre, la prima difficoltà sarà quella di raccogliere le firme necessarie a presentare la candidatura.
Serra come ha fatto un trentino a diventare candidato presidente dell’Emilia-Romagna?
«Mi è stato chiesto dai partiti e movimenti che mi sostengono. Si voleva costruire una candidatura unitaria che mettesse in prima linea le lotte per il welfare e per la casa fatte in questi anni. Hanno chiesto quindi a me, una figura fuori dai partiti, di rappresentare queste realtà e questo movimento e ho accettato».
Il suo percorso quindi nasce fuori dai partiti?
«Assolutamente. La mia storia politica inizia a Trento nei movimenti studenteschi dell’Onda contro la riforma Gelmini, quando frequentavo il Da Vinci. Quando mi sono spostato a Bologna per studio mi sono concentrato sul tema della casa portato avanti nelle lotte da Usb. Quando sono diventato lavoratore mi sono impegnato anche come delegato sindacale, battendomi per il rispetto dei contratti dei lavoratori e contro la politica degli appalti al massimo ribasso. Una contrattazione negativa che si riversa sulle condizioni dei lavoratori. Poi mi sono concentrato anche nelle lotte per i lavoratori della logistica tra Piacenza e Bologna. Contro un sistema e le sue multinazionali, che accumulano grandi ricchezze, costruite però su precarietà, insicurezza e sfruttamento dei lavoratori».
Che obiettivo vi siete dati?
«Intanto di raccogliere le firme e non sono poche. Poi, al di là dell’obiettivo numerico, la nostra volontà è quella di imporre all’agenda politica i nostri temi. Innanzitutto quello del lavoro sottopagato che deve finire. Nel privato, ma prima ancora nei servizi pubblici: ci sono oss, operatori sanitari e altri dipendenti di servizi privatizzati che hanno diritto a un lavoro dignitoso. La sanità che va difesa da una privatizzazione che la rende inaccessibile ai cittadini. Poi c’è il tema della casa, Bologna è stata saccheggiata dalle piattaforme degli affitti turistici e dalle multiproprietà, redendo gli alloggi inaccessibili a tante persone. Siamo una lista ecologica e ambientalista: contro progetti cementificatori come il passante di Bologna o estrattivisti come il gassificatore di Ravenna. Infine c’è il tema della pace, siamo gli unici contrari al riarmo globale e che si sono esposti contro Israele e il genocidio che sta perpetrando sui palestinesi di Gaza e della Cisgiordania».
Vi ponete come alternativa alla destra, ma anche al centrosinistra?
«Assolutamente. Noi siamo contro il modello del «Campo Largo» che qui in Emilia-Romagna è stato l’artefice della privatizzazione del welfare e di progetti antiecologici come il passante o la cementificazione legata alla nascita dei grandi hub della logistica. Siamo contro un centrosinistra che difendendo gli interessi delle grandi cooperative ne ha garantito il profitto, in un contesto di taglio alla spesa pubblica, scaricando i costi sui giovani lavoratori, trasformandoli in una generazione di precari».
La crescita della destra la preoccupa?
«Mi preoccupa la tendenza, sempre più crescente in Italia, a trattare problemi sociali come temi di sicurezza pubblica. È un fenomeno che nasceva già 10 anni fa con i decreti Minniti però, i primi a criminalizzare i salvataggi in mare. La repressione è un problema che ha radici profonde e che questo governo ha inasprito».
Quando ha capito che Bologna sarebbe diventata la sua casa?
Dopo gli anni dell’università, quando ho capito che il tessuto sociale e culturale che c’era a Bologna mi faceva sentire a casa. Il periodo di università l’ho vissuto non solo come un momento di studio, ma anche come tempo di incontro e di lotta. Qui ho conosciuto e sono entrato a far parte di realtà sociali e politiche che mi hanno fatto partecipare alla vita della città, facendomi sentire al posto giusto nel mondo».
A Trento e in Trentino ci torna?
«Certo che ci torno, ma meno di quanto vorrei. Vengo per trovare le nostre splendide montagne, che sono un patrimonio da tutelare, e per rivedere la famiglia e gli amici».
La sua è una famiglia di politici, nasce lì la passione?
«In famiglia ho imparato che la politica è mettersi al servizio di una comunità, con l’obiettivo di lavorare e faticare per costruire un presente migliore per tutti e non per arricchirsi. La passione per la politica nasce sicuramente con mio padre e mio fratello, ma anche molto grazie al Da Vinci, una scuola davvero attiva politicamente, che mi ha insegnato a vivere la politica a tutto tondo, vivendo e migliorando il luogo dove si studia prima, poi la città in cui si vive e ora mettendosi al servizio di una causa più grande».
Oggi è candidato in Emilia-Romagna, un domani si vede in Trentino?
«No dai mi vedo dove sono adesso. Anzi specifico che con la legge elettorale che c’è in Emilia-Romagna il candidato presidente, se non è poi nella lista dei candidati, o diventa presidente o non entra in Consiglio. Io non sono nella lista, la mia è una candidatura di servizio, se non sarò eletto presidente, tornerò a fare il delegato sindacale, lottando contro lo sfruttamento dei lavoratori».
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