La testimonianza
martedì 8 Agosto, 2023
di Benedetta Centin
«Non riesco a togliermi dalla testa il pensiero che avrei potuto essere io la vittima e non Iris Setti. Ho incontrato quell’uomo in via Dante un’ora prima circa che la uccidesse. Era fuori di testa, agitatissimo, come posseduto: mi ha fatto davvero paura e ho trovato il modo di allontanarmi in fretta, aggregandomi a una famiglia a sua volta spaventata. E ora mi sento in colpa per non aver chiamato il 112, ma era passata anche una pattuglia delle forze dell’ordine che non si era fermata». Ha ancora i brividi la quarantenne roveretana che sabato sera si è trovata ancora una volta sulla sua stessa strada Nweke Chukwuda. Sì perché la donna aveva notato lo straniero già in altre occasioni, vedendo bene di stargli alla larga. «Tre giorni prima lo avevo notato su una panchina con una grande lattina di birra in mano. Era in via Lungo Leno, vicino alla piscina: era ipercinetico, continuava a saltare su e giù, a sedersi e alzarsi, ingestibile, incontrollabile. Allora pur di non passarci vicino ho allungato di non poco il tragitto per tornare a casa» racconta la donna, ancora sconvolta.
Sabato sera l’ennesimo incontro. «Erano le 21.23. Lo so per certo perché ero al telefono con una mia amica alla quale ho chiesto di continuare la conversazione, intimorita dalla presenza di quell’uomo che già in altre occasioni mi aveva inquietato — continua la roveretana — Era ancora una volta a torso nudo, forse anche senza scarpe: anche allora ipercinetico, agitatissimo, si muoveva in modo isterico, continuava a saltare dal marciapiedi fino in mezzo alla strada, gesticolando con le braccia, senza però dire una parola. Sembrava posseduto…». L’incontro ravvicinato ha impaurito e non poco la donna, a spasso con il suo fido di piccola taglia. «Quell’uomo che ho visto spesso in giro per Rovereto mi ha sempre terrorizzato — continua — Sabato sera l’ho avuto a due metri da me. Era sempre a torso nudo, per niente padrone di sé, tutt’altro che lucido. Non so dire se in balia di qualche sostanza. So solo che temevo che il mio cagnetto potesse abbaiare nella sua direzione e che quindi potesse innescare una reazione violenta in quello sconosciuto del tutto fuori di sé». La donna non è stata l’unica a temere per la sua incolumità. «Poco prima per strada avevo incrociato una coppietta e l’uomo mi aveva messo in guardia e detto di stare attenta». La salvezza della quarantenne, rimasta volutamente sempre al telefono con l’amica, è stata una famiglia di stranieri. «Li ho visti uscire dal parco, erano con bambini, spaventati a loro volta. Mi sono aggregata a loro, affiancandoli all’altezza dei giardini — spiega — è stata la mia salvezza». Il modo per sgattaiolare via senza conseguenze. Lontano da quel pericolo. Da quello che di lì a un’ora circa diventerà un assassino.
La paura, quella sensazione di insicurezza, la quarantenne l’ha avuta ancora più forte sulla sua pelle quando ha letto la notizia della brutale aggressione, a cui Iris Setti non è sopravvissuta. «Potevo essere io, ho rischiato di essere io la vittima di quell’uomo, anche i miei familiari, che tra l’altro conoscevano Iris, ne sono convinti». Il caso, il fatto di non essere da sola, la forte sensazione di essere in pericolo e la determinazione di scamparlo, di fuggire quanto prima, sono state a suo favore. «Ammetto di sentirmi in colpa per non aver segnalato quell’uomo al numero di emergenza ma una pattuglia era passata in quei momenti in cui lo straniero saltava in strada e non si è fermata» continua la testimone che confessa di evitare il parco luogo della tragedia. «In quell’area verde non ci vado, non solo perché è mal frequentato ma anche perché, con quell’accesso dall’alto, non mi ha mai fatto sentire a mio agio, per niente al sicuro».