Valle dei Mocheni

sabato 12 Ottobre, 2024

Fierozzo, lascia il bar del Milordo: «Non ce la facciamo più con i conti, ci spostiamo alle Sarche»

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La famiglia Lazzarini era arrivata nel 2018: «Anno difficile, poca gente di passaggio»

Getta la spugna la coppia veneziana che tre anni fa, innamorata della valle dei Mocheni, decise di riaprire a Fierozzo il «bar del Milordo». In precedenza, il locale era stato gestito per anni dalla Lina, vedova del «Milordo», mamma di Diego Moltrer il presidente del consiglio regionale morto d’infarto il 17 novembre 2014.
«Contrariamente a quanto si pensava c’è poco passaggio da queste parti. Quest’anno, inoltre, la chiusura per due mesi della strada da Palù, la stagione estiva che non ha aiutato, ci hanno costretti alla decisione di chiudere», spiega Selina Lazzarini, che gestisce il bar, sospirando.
Lei, il marito e due dei tre figli, si trasferiranno alle Sarche dove, col nuovo anno proseguiranno l’attività in un bar che si chiamerà «Dai venexiani».
«Lì c’è molto più passaggio e speriamo di poter raddrizzare la barca perché qui a Fierozzo una famiglia come la nostra, che non abbia altri cespiti non può vivere con le sole entrate del locale», le parole di Lazzarini.

Tutto era cominciato il 24 giugno 2018 quando Selina e i figli (Luna, Morgana e Leone) hanno conosciuto da turisti la valle dei Mocheni. «Ci siamo innamorati di questo posto, della vita che c’è qui, legata ai ritmi della natura e della terra», ci disse il giorno in cui, il 24 giugno di tre anni dopo, firmò il contratto per la gestione del locale.
Un doppio azzardo, argomentammo: riaprire un locale pubblico in tempi di pandemia e in una valle, benché «incantata», un po’ fuori mano e comunque distante dai flussi del traffico turistico. «Mica tanto – rispose – perché c’è un po’ di passaggio: motociclisti, ciclisti e qualche turista. E poi i giovani, non solo di Fierozzo…»

Tre anni dopo quel sogno si è infranto dentro una stagione estiva da dimenticare: il troppo caldo a sconsigliare le escursioni; la troppa acqua a creare disagio e qualche smottamento. Insomma, in vista del nuovo anno scolastico, Selina Lazzarini ha iscritto una figlia alle scuole superiori a Riva del Garda e il bambino piccolo alle elementari di Sarche. Intanto fanno i pendolari, «ma gennaio è vicino».

Il «bar del Milordo» chiuderà il 7 dicembre con una grande festa di addio. «Ci sarà musica, proporremo piatti di pesce così come era nelle intenzioni dell’avvio. Affiancare alla mescita delle bevande cene e banchetti a tema – racconta ancora -. In val dei Mocheni siamo stati accolti più che bene e se non fosse che i conti non tornano ci saremmo fermati volentieri».
È il problema delle piccole comunità di montagna. Qui, peraltro, resistono la scuola (una pluriclasse), uno sportello bancario, un altro bar. «I servizi ci sono. Per un Comune piccolo come il nostro, nella zona ci sono quattro locali pubblici che funzionano», avverte il sindaco Lorenzo Moltrer.

Fierozzo (con Frassilongo e Palù del Fersina) è uno dei tre comuni della valle dei Mòcheni. Il quarto, Sant’Orsola, pur facendo parte della stessa zona non è invece considerato minoranza etnico-linguistica. In un secolo, Fierozzo ha perso centinaia di residenti. Oggi la popolazione del Comune è di 464 unità (erano 683 nel 1890). Il calo demografico si ebbe fino al 1991 quando il censimento segnalò 437 abitanti.

Per molti anni il bar del «Milordo», a Fierozzo, nell’alta valle del Fersina, è stato un punto di approdo della comunità mochena. La Lina, la moglie del sindaco Luigi «Gigi» Moltrer, detto «il Milordo» (morto nel 2008) governava il locale con grande autorevolezza. Poi l’età (oggi ha 96 anni) e le traversie familiari (quattro di cinque figli persi, chi per incidente, chi per malattia) portarono alla chiusura del locale. Che non era soltanto un punto di mescita di bevande perché nei villaggi di montagna il bar ha una funzione sociale. Al bar del «Milordo» è passata la cronaca e si è fatta la storia di quel grumo di masi appollaiati sui ripidi versanti della sponda sinistra della Fersina.

Anche in anni recenti c’era ancora chi rammentava il dramma seguito all’accordo fra Hitler e Mussolini del 23 giugno 1939. Ben 478 mocheni, ai quali era stato garantito in Germania un patrimonio di uguale valore di quello lasciato nella valle della Fersina, il 21 aprile 1942 partirono (assieme a 192 abitanti di Luserna) verso il campo di concentramento di Hallein, vicino a Salisburgo. Furono poi smistati nella Boemia meridionale ma dei beni promessi non videro nulla. Tonarono in valle nel maggio del 1945, in seguito alla capitolazione della Germania, accolti con ostilità da chi era rimasto e si era appropriato dei beni degli optanti.
Una pagina di storia che ogni tanto torna a far capolino tra le pieghe della cronaca. Magari solo per condire la chiusura di un bar che forse non riaprirà più.