Il personaggio
domenica 7 Aprile, 2024
di Lorenzo Fabiano
Quella stella che fa tutta la differenza di questo mondo, se parliamo di buona tavola. Soprattutto se la riconquisti appena un anno dopo che il locale l’aveva persa, e lo chef è uno che il rock gli scorre così forte nelle vene da infonderlo nella sua cucina. La stella è quella iconica della Guida Michelin, il ristorante è il Dolomieu del Dv Chalet a Madonna di Campiglio, e lui è l’Executive Chef Fiorenzo Perremuto, cinquantunenne visionario di Trento, il cuoco rock che compone melodie ai fornelli: «Il rock mica è solo ribellione, ma anche amore e dedizione totale per ciò che ami fare. Ad esempio, andare per boschi a raccogliere erbe è molto rock. Lo show, sia sul palco che in cucina, ci aiuta a essere felici e a trasmettere questa felicità; l’ultimo piatto che esce dalla cucina è come l’ultimo brano a un concerto», spiega alla sua maniera Perremuto. Ça va sans dire, la vita è in un riff di Keith Richards, come nel celebre monologo di Radiofreccia.
Cominciamo dalla stella Michelin che vi è stata assegnata lo scorso novembre, una gran soddisfazione immagino, no?
«Davvero, ed è frutto di grandi sacrifici. Un sogno che si è realizzato, sebbene il mio primo sogno fosse la musica per la quale avevo persino interrotto il mio percorso in cucina».
Racconti.
«Ho fatto l’istituto alberghiero a Rovereto, nei fine settimana e durante le vacanze andavo a lavorare a un ristorante, “Il Vecchio Mulino” di Vezzano. Son partito da lì. Ma il richiamo della mia grande passione, la musica, era troppo forte e così ho mollato la cucina per il palco, da frontman di una rockband, i Kustodia. Erano gli anni Novanta, eravamo uno dei migliori gruppi del Trentino: facevamo rock classico, cover dei Rolling Stones, Led Zeppelin e Deep Purple per intenderci; abbiamo anche fatto dei cd con nostri brani e siamo stati da spalla ai concerti di artisti italiani come Francesco Guccini e Eugenio Finardi. Io in quegli anni lavoravo al reparto macelleria di una catena di supermercati, un’esperienza in cui ho messo tanta dedizione e mi è venuta poi molto utile. Quel periodo è durato un decennio fino al 2000».
E poi che è successo?
«I miei amici della band ebbero un incidente stradale. Ripresi la via della cucina: grandi chef con cui collaboravo, Alfredo Chiocchetti, Diego Rigotti e Walter Miori, mi dicevano che ero sprecato in macelleria. Così sono ripartito, ho fatto altre esperienze in ristorazione e un anno e mezzo fa sono approdato al Dolomieu a Madonna di Campiglio. Undici mesi ed è arrivata la stella Michelin; dopo che l’hai persa, è dura riprenderla nel giro di un solo anno. È stato qualcosa di galattico».
Da quando non suona più?
«Da una decina di anni. Musica e cucina, due passioni notturne, non erano più conciliabili. Ma ora le faccio convivere nei miei piatti. E infatti io dico sempre che la mia cucina suona il rock».
Mamma veneta e papà siciliano, una bella miscela…
«Mia mamma, come del resto mia nonna, era una botanica, nel senso che raccoglieva erbe e piante nelle campagne; non buttava via nulla, recuperava tutto. Allora si faceva così. Mi ha trasmesso il concetto della sostenibilità, che sembra essere qualcosa di futuristico ma non è altro che un recupero delle buone pratiche del passato, sebbene le tecniche siano oggi diverse. Mia madre mi ha insegnato a non mollare mai e mi ha infuso lo scrupolo nella salvaguardia delle risorse me lo ha trasmesso lei. Da mio padre ho invece appreso il senso di devozione verso il lavoro e il gusto per i sapori e i profumi della terra. Era un gran lavoratore, instancabile, stakanovista direi».
«Se la cucina è di montagna, il tuo principale mercato è la natura», ha detto lei. Può spiegare?
«Studio, ricerco e sperimento; vado nei boschi in cerca di erbe per fare una cucina territoriale in cui si riconoscano le materie prime e si valorizzino i nostri prodotti a chilometri zero e i nostri piccoli produttori. Il menù degustazione del Dolomieu si chiama “Fino in vetta” e valorizza il nostro territorio trentino dal Lago di Garda fino alle Dolomiti di Brenta a Madonna di Campiglio».
Nel 2019 lei è apparso in televisione al contest «Cuochi d’Italia» condotto da Alessandro Borghese. Ci tornerebbe in tv?
«Ma certo che ci tornerei! Mi avevano cercato, accettai l’invito e ci andai. Pensavo di andare a fare un po’ come volevo, ma mi sbagliavo perché lì è tutto un po’ schematico. Dovevo fare un piatto della tradizione, cercai di innovare seguendo il mio istinto. Siccome non sono uno che fa le cose uguali agli altri, ma piuttosto amo mostrare la mia identità, finii per osare un po’ troppo, andai fuori tema e persi la sfida. Feci un buon piatto, ma fuori dai binari. Diciamo che fui un po’ troppo rock quella volta (ride, ndr)».
Eccola lì l’anima rock. I suoi miti?
«I Rolling Stones, ma anche Doors, Queen, gruppi con uno showman sul palco. I Rolling Stones sono sempre stati la mia passione, e se a ottant’anni se ne vanno ancora in giro per il mondo a riempire gli stadi coi loro concerti, significa che è proprio vero che il rock non muore mai. La vera musica, con batteria, basso e chitarra, esiste ancora per fortuna».
Chiudiamo quest’intervista con un sogno, ci sta?
«Va bene, anche perché io sono uno che sogna a occhi aperti e non smetterà mai di sognare».
Ok allora. Il mondo non se la passa bene: i grandi della terra si riuniscono al Dolomieu per una cena. Quale piatto gli prepara e che musica gli suona per renderli tutti un po’ più buoni?
«Il piatto si chiama “Infondo al lago” ed è un roll di trota che per la prima volta ho proposto, ma allora era una tartare, nel 2022 al Festival del Pesce d’Acqua Dolce del Garda Trentino: si tratta di fettine di lombo di trota marinata con agrumi del Garda, sale e zucchero, aneto, mix di pepi tostati, arricchita con mango, yogurt acido, rapa agra, olandese di trota e le sue uova, salicornia (detta asparago di mare) e accompagnata infine da una granita al Gin Luz e cetriolo in una presentazione speciale in cui ripropongo il fondale del lago. È il piatto che più mi rappresenta. Una poesia, quella stessa poesia del palco dove ero un camaleonte. Come canzone scelgo “Rock and Roll” dei Led Zeppelin, perché il rock non muore mai e, mi creda, in questo momento al mondo c’è parecchio bisogno di rock».
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