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giovedì 9 Marzo, 2023

Flaco Biondini e compagni arrivano a Pergine: «Cantiamo le canzoni di Guccini per farle conoscere anche ai giovani»

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La band, che ha accompagnato il cantautore bolognese in tournee per più di 40 anni, continua a suonare le sue canzoni. «Sono canzoni che raccontano storie, che dicono sempre qualcosa in più: per questo sono immortali e arrivano a tutti»

Sarà una serata all’insegna della musica e delle parole di Francesco Guccini quella che vedrà protagonisti in concerto, sabato alle 20.45 al teatro Comunale di Pergine, i musicisti che hanno accompagnato il «Maestrone» nel corso della sua lunga e strepitosa carriera. Dopo la scelta del cantautore modenese di non proseguire l’attività live, la storica band — capitanata da Juan Carlos «Flaco» Biondini, chitarrista argentino legato a Guccini dal 1976 da un importante sodalizio umano e artistico — ha intrapreso questo nuovo percorso con l’obiettivo di non interrompere quel filo rosso che per decenni ha unito ed emozionato più generazioni accomunate dall’amore per uno dei più grandi poeti in musica del Novecento.
Flaco Biondini, la band storica di un grande cantautore che sceglie di continuare a proporre i suoi successi senza averlo sul palco è una storia quasi inedita. Com’è iniziato tutto?
«L’idea è nata perché, quando Francesco decise di smettere con i live il suo numerosissimo pubblico rimase “orfano” dei suoi concerti. Allora ci siamo detti: “Chi meglio di noi, che l’abbiamo accompagnato per anni e creato e “vestito” musicalmente le sue canzoni, può portare avanti questa narrazione?».
Qual è stata la reazione di Guccini a questa scelta?
«Lui non aveva più voglia di salire sul palcoscenico e l’ha chiaramente accettata, coadiuvandola e dandoci inoltre una mano: nei primi tempi ci ha accompagnato in serate che prevedevano una prima parte che lo vedeva protagonista, intervistato da giornalisti, a cui seguiva il concerto in cui noi eseguivamo i suoi brani riarrangiati a nostro piacere».
Costruire una scaletta partendo da un repertorio così vasto deve essere un’impresa. Che live proporrete a Pergine?
«Lo era anche quando cantava Francesco e allora c’era inoltre un vincolo ulteriore: lui voleva sempre in scaletta le intoccabili “Canzone per un’amica”, “Il vecchio e il bambino”, “Dio è morto” e “La locomotiva”. Oggi noi cerchiamo di proporre un live con brani scelti attingendo da tutta la sua carriera, cercando di aggiungerne di “nuovi”».
Sarà lei a dar voce alle canzoni. Come ha lavorato in tal senso e quali sono le sue emozioni nell’interpretare brani che per anni ha suonato con l’autore?
«Non è tanto l’emozione l’aspetto fondamentale, la cosa importante è riuscire a cantare nel modo “giusto” le parole che in Francesco sono sempre importanti: le sue canzoni sono fondamentalmente testo ed è importante dare loro la giusta “inflessione”, un po’ come recitare in teatro».
Qual è il valore di trasmettere, anche ai più giovani, le parole in musica di Francesco Guccini?
«Negli anni di concerti con Francesco ho visto scorrere almeno quattro generazioni e credo che il valore assoluto di questo progetto sia il proporre alcune tra le più belle canzoni che siano mai state scritte in Italia. Canzoni che raccontano storie, che dicono sempre qualcosa in più: per questo sono immortali e arrivano a tutti, anche ai giovani».
Venendo a lei e facendo un salto nel passato, ci racconta il primo incontro con Guccini e come è iniziata la vostra collaborazione?
«Come spesso succede, sono i casi della vita a far incontrare le persone: era il 1976 e il nostro tramite fu Deborah Kooperman, una giovane chitarrista americana che collaborava con Francesco. A quel tempo lui aveva bisogno di un chitarrista e così iniziammo a lavorare insieme: per molti anni abbiamo suonato in duo, poi nel 1983 costituimmo il gruppo che è lo stesso che oggi porta avanti questo progetto».
Lei ha firmato assieme a Guccini numerosi brani, come nasceva una vostra canzone?
«Non c’era una regola fissa. “Scirocco”, ad esempio, nacque da un arpeggio estemporaneo e Francesco disse: “Bello questo giro, vorrei metterci delle parole”. Altre volte invece ci sedevamo ad un tavolo, lui da una parte con un taccuino e dei fogli e io dall’altra parte con la chitarra: lui partiva con una frase, ci confrontavamo, e magari nel giro di un paio d’ore il pezzo era finito. È successo così con il brano “L’ultima volta”, io l’avevo pensato in 3/4 e lui invece disse: “Facciamola country”. In “Su in collina” invece mi disse di aver tradotto in italiano una poesia in dialetto bolognese: è nato un testo di cui io ho poi scritto la musica».
Un’ultima battuta, c’è un pezzo di Guccini che le è entrato più di altri nel cuore?
«Sicuramente “Canzone delle osterie di fuori porta”. Penso perché, come ha scritto Francesco in una canzone, provo spesso nostalgia per il non provato e questo pezzo è una lettera ad un amica che parla di una Bologna, e anche di un Paese, che io non avevo vissuto e che era cambiata, dal momento che era finito il periodo dei figli dei fiori e iniziavano gli anni di piombo».