L'INTERVISTA
venerdì 22 Settembre, 2023
di Gabriele Stanga
Tutto esaurito ieri sera al Supercinema Vittoria per la proiezione speciale del film «Io Capitano» di Matteo Garrone. Un clamoroso successo di pubblico, con 412 biglietti venduti, nonostante il film sia già nelle sale da due settimane. Ciò testimonia la grande attenzione e sensibilità dei cittadini trentini verso il tema delle migrazioni. Infatti, il film narra le vicende di Seydou e Moussa, due giovani senegalesi che affrontano un viaggio colmo di insidie, lasciando il proprio Paese per raggiungere l’Europa via mare. Tra i riconoscimenti ottenuti dalla pellicola un leone d’argento alla regia in occasione dell’ottantesima di edizione della mostra del cinema di Venezia racconta, e il premio Marcello Mastroianni all’attore protagonista Seydou Sarr. Il film è stato candidato agli Oscar come miglior film straniero. La sceneggiatura del film è stata ispirata dalle storie vere di alcuni migranti, arrivati dal continente africano. La principale ispirazione viene dal capitano del barcone a bordo del quale si svolge la traversata, il guineano Fofana Amara, che all’epoca dei fatti aveva solo quindici anni. Ieri è stato in videocollegamento con la sala trentina.
Signor Amara, che effetto fa vedere la propria storia trasposta in un film?
«Sono molto contento, tantissime persone stanno vedendo il film ed è importante sia per coloro che lo accolgono positivamente che per coloro che lo accolgono in modo negativo. Serve a fare capire come sia realmente il viaggio dei migranti. I politici parlano sempre di numeri e di dati ma non fanno mostrano realmente come stanno le cose. Garrone lo fa vedere, speriamo che aiuti a capire. Ringrazio anche il pubblico di Trento, sono felice che ci siano tante persone interessate».
Ed è contento di come la sua storia è stata trasposta sulla pellicola, la regia è stata fedele?
«Non era assolutamente facile ma Garrone ha fatto un lavoro magnifico. Non si è documentato solo sulla la mia storia, ma anche su quella di altre persone che hanno affrontato il viaggio e sono protagonisti. Ogni viaggio è personale ed è una storia umana».
Che messaggio può lanciare il film al popolo ed al governo italiano?
«Il governo sa la verità nonostante faccia finta di non sapere, dovrebbero mostrare come stanno realmente le cose, anche riguardo i bombardamenti in Libia, in cui diversi governi europei hanno avuto parte. Anche l’Italia. Bisogna capire perché ci sono tanti migranti, studiare un po’ di più le migrazioni e cosa fa l’Europa per i Paesi di partenza. Ci sono 5 o 6 Paesi africani in cui si è preso il potere con la forza e la situazione è davvero pericolosa. L’Europa, però, non ha mosso un dito. Non si parte senza una necessità. Serve che i cittadini europei sappiano la verità e vedano come stanno veramente le cose».
Lei dove vive attualmente?
«Vivo in Belgio, a Liegi, dove lavoro all’aeroporto in un reparto di comando».
Com’è stato accolto dalla popolazione locale?
«Ci sono sempre discriminazioni in ogni Paese ma personalmente non ne sono stato oggetto e ho trovato rispetto nei luoghi in cui sono arrivato. Qui forse un po’ di più, si guarda tanto alla competenza. Io credo che, in generale se si cerca di capire come vivono le persone del Paese che ci accoglie e di adeguarsi un po’ al loro modello di vita, si riesca ad integrarsi e convivere senza eccessivi problemi. Ci sono sempre persone ignoranti, purtroppo ma non sono la norma».
E quale fu, invece, la sua esperienza in Italia?
«Avevo 15 anni quando arrivai al porto di Augusta nel 2014. Ero il capitano di un barcone che veniva dalla Libia e fui portato in prigione perché conosciuto come scafista. Rimasi lì due mesi. Quando seppero che ero minorenne mi lasciarono con un foglio da firmare e mi rimisero in libertà, senza però accompagnarmi in alcuna comunità. In prigione mi avevano parlato di Catania ed io volevo arrivare lì perché era l’unica città grande che conoscevo. Un autobus mi ha accompagnato fino a Siracusa, non conoscevo bene la lingua e non sapevo dove andare. Lì uno studente mi ha fatto da traduttore e spiegato dove mi trovavo. Poi ho incontrato, per fortuna, un tunisino che parlava francese e mi ha aiutato a comprare i biglietti per Catania. A Catania un’associazione di senegalesi mi ha messo in contatto col mio avvocato Daria Storia, che è diventata anche il mio tutore. Lei mi ha accompagnato al tribunale per minori che mi ha poi destinato alla cooperativa Prospettive, presso la quale sono stato messo in prova per due anni. Non potevo muovermi dalla città, andavo a scuola e facevo volontariato. Mi sono diplomato alla scuola nautica superiore e sono rimasto a Catania per 5 anni, fino al 2019».
Quante persone c’erano a bordo del barcone che guidava?
«C’erano 250 persone, anche una quindicina di bambini e 25 donne. Il film si chiama “Io capitano” perché quando arrivammo sapevo che nessuno era morto e avevo salvato tutti. Alcuni erano contenti, altri piangevano perché non credevano fosse possibile. Allora, mi misi a gridare alla guardia costiera: Je suis le capitain, je suis le capitain! Una cosa a cui ripenso con emozione è che c’era una donna incinta, la quale ebbe dei dolori durante il viaggio. Fermai la nave per assisterla e poi partorì una bambina prima di arrivare ad Augusta. Ricordo che quando siamo partiti non sapeva ancora il sesso della nascitura».