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giovedì 5 Settembre, 2024

Francesca Violardo, enologa premiata per la sua tesi: «Il chitosano e la sua efficacia nei vini»

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Il riconoscimento da Assoenologi. «Molto gratificante, dopo la laurea a Trento ho passato un periodo in Alto Adige, poi in Australia e ora lavoro in Francia»

Aggiornare le conoscenze e distinguere con più precisione le diverse origini del chitosano, un prodotto impiegato in enologia per la sua azione chiarificante. Questo era lo scopo della ricerca contenuta nella tesi di Francesca Violardo, neo-enologa che durante l’anno accademico 2022-2023 ha conseguito il titolo di laurea nel corso triennale di Viticoltura ed Enologia del Centro Agricoltura Alimenti Ambiente dell’Università di Trento (C3A). Originaria di Alba, in Piemonte, per il suo elaborato finale dal titolo «Caratterizzazione isotopica del chitosano» Francesca ha ricevuto da Assoenologi, l’unione di categoria dei tecnici vitivinicoli maggiormente rappresentativa sul territorio nazionale, il premio alla miglior tesi di laurea triennale in Viticoltura ed Enologia. Un riconoscimento che l’associazione assegna a partire dall’anno scorso in ricordo dell’alumno Marco Accordini, 26enne veneto scomparso in un tragico incidente sul lavoro nel 2022. Il premio, dell’importo di duemila euro, è stato conferito alla vincitrice quest’estate in occasione del 77° Congresso di Assoenologi che si è svolto a Cagliari. Un incontro durante il quale Francesca ha presentato il suo lavoro davanti a una nutrita audience di professionisti del settore.
Violardo, da dove è nata la sua passione per l’enologia?
«Io vengo da Alba, quindi da un territorio che è cuore pulsante dell’enologia italiana. Fin da piccola quindi ho le radici piantate in questo mondo che mi ha sempre appassionato: ho frequentato lì la scuola enologica prima di decidere di spostarmi in Trentino per laurearmi al C3A».
Di che argomento parlava la sua tesi di laurea?
«Il mio elaborato si concentrava sulla caratterizzazione isotopica del chitosano. Un nuovo prodotto, diventato in breve tempo argomento importante per il mondo enologico per le sue proprietà antimicrobiche, anticontaminanti, antiossidanti e chiarificanti. Questo polimero naturale, il cui impiego per il trattamento di mosti e vini è stato approvato nel 2009 da UE e OIV, deriva dalla chitina e può essere di due diverse origini: quella fungina, proveniente dal fungo noto come Aspergillus Niger, e quella animale, proveniente da crostaceo e altre fonti. Solo la prima, però, è ammessa per l’utilizzo in campo enologico, perché al chitosano di origine animale, che inoltre è più costoso e difficilmente reperibile, sono collegati maggiori rischi e problemi di allergie».
Su cosa si è concentrato quindi il lavoro?
«Sulle differenze fra queste origini, quindi sulla capacità di discriminare con efficacia il chitosano fungino e quello animale. I metodi ammessi per operare questa distinzione sono generalmente poco applicabili e di difficile comprensione, con l’attenzione quindi che si è spostata di recente verso l’analisi isotopica degli elementi che caratterizzano il chitosano: l’obiettivo della ricerca era cercare di individuare queste differenze con maggiore precisione, e per questo la tesi è stata accompagnata anche da un lavoro sperimentale in laboratorio».
Come si è svolta questa fase sperimentale della ricerca?
«È stato un lavoro abbastanza lungo, di circa un anno e mezzo di durata, che ho svolto in collaborazione con i professori Matteo Perini, del Servizio chimica Isotopica della Fondazione Edmund Mach, e Raffaele Guzzon, del C3A, con il quale abbiamo sviluppato la produzione del fungo utilizzato poi negli esperimenti compiuti. Durante l’attività sperimentale quindi sono stati analizzati alcuni chitosani commerciali di diverse origini per studiarne le differenze isotopiche e definire quindi con maggiore precisione questa differenza».
Quali risultati avete raggiunto?
«Siamo riusciti ad aumentare la nostra conoscenza sui dati isotopici del prodotto: questo può essere utile ad esempio per stabilire i limiti legali al di sotto dei quali il chitosano non può essere considerato di origine fungina e quindi impiegato in campo enologico».
Che cosa ha significato per lei ricevere il premio da Assoenologi?
«È stato un riconoscimento molto gratificante, che mi ha ripagato abbondantemente per il tanto tempo che ho speso per questo elaborato. E il fatto che provenga da un’istituzione come Assoenologi, la più importante sul territorio nazionale, è ovviamente un motivo di orgoglio».
Cos’ha fatto dopo essersi laureata?
«Ho subito iniziato a lavorare, accumulando esperienze viaggiando per il mondo per approfondire le mie conoscenze del mondo enologico. Ho trascorso prima un periodo in Alto Adige, poi in Australia, ora lavoro in Francia».
Come valuta quella che è stata la sua esperienza con il corso di laurea frequentato a Trento?
«Sicuramente in modo molto positivo, è un corso che raccomanderei a chiunque fosse interessato a seguire un percorso lavorativo di questo tipo. Oltre ad essere interessante penso fornisca un ottimo livello di competenze, anche grazie ai professori molto preparati e con tanti legami nell’ambiente e le cantine circostanti del Trentino. Questo facilita anche l’accesso immediato nel mondo del lavoro, come è stato nel mio caso».