L'INTERVISTA
domenica 10 Marzo, 2024
di Lorenzo Fabiano
La corrente l’aveva accesa a gennaio del 1984 con il record dell’ora di Città del Messico (dei suoi 51,151 km ne ha fatto un rinomato spumante metodo classico, fiore all’occhiello della sua produzione enoica); tutta energia rinnovabile immagazzinata per la primavera quando Francesco Moser andava più forte di un cavallo di razza. Sì, più forte di un cavallo, avete capito bene. Ed è lui stesso a raccontarlo: «La domenica del 4 marzo del 1984 all’ippodromo di San Siro organizzarono una sfida tra me e un cavallo al trotto sulla distanza di un chilometro (trottatore indigeno Lanson, all’epoca detentore del record sul doppio chilometro, ndr). Io pedalavo all’esterno, su una corsia ripulita dalla sabbia. Ne avevo già fatta una nel 1978 all’ippodromo di Follonica. A quei tempi le corse dei cavalli attiravano un sacco di gente, si scommetteva e giravano soldi, mica come oggi che è una nicchia per appassionati. Tanto, si scommette su tutto ormai…». Superfluo chiedergli come andò a finire: «Vinsi io, ma sa com’è, il cavallo al trotto più di tanto non va…». Vabbè. Quel 4 marzo del 1984 non è catalogato nelle sue 273 vittorie, ma poco male perché tredici giorni dopo, era il 17 marzo, con un attacco spettacolare giù dai tornanti del Poggio Francesco aggiunse alla collezione la perla che gli mancava, la Milano-Sanremo, la «Classica di Primavera» che sabato prossimo vivrà la sua edizione numero 115. Quel giorno «Moserissimo» produceva così tanti watt sui pedali che avrebbe potuto mettere al riparo da un blackout energetico tutta la Riviera di Ponente. Un capolavoro, una delle vittorie più entusiasmanti della sua lunghissima carriera.
Moser, che corsa è la Sanremo?
«Una lotteria. La possono vincere tutti e perdere tutti. La caratteristica della Sanremo è sempre stata questa. Nel 1960 hanno inserito il Poggio nel finale, e io l’ho sempre fatta col Poggio. Poi, nel 1982 hanno messo anche la Cipressa. L’ho fatta sempre, quindici volte dal 1973 al 1987; negli ultimi anni me ne stavo tranquillo fino a dopo Alassio, quando si affronta il Capo Berta; è una corsa di quasi 300 km, se stai davanti tutto il giorno nel finale non ne hai più. Vero che qualche volta è andata via la fuga, ma mica puoi stare sempre lì davanti a controllare la corsa».
Nel 1975 era arrivato secondo nella volata con Merckx.
«Lui aveva con sé un compagno della Molteni (Joseph Bruyère, ndr); finii nella morsa del loro gioco di squadra, altrimenti quella Sanremo l’avrei vinta io».
Come la preparò nel 1984 dopo il record dell’ora?
«Saltai la Tirreno-Adriatico per allenarmi, sulle strade del Lago di Garda dove il clima è più mite. Ancora troppo freddo su da noi. Facevamo i raduni con la squadra sul Lago di Garda, le condizioni sono ideali. Anche Van Looy andava d’inverno ad allenarsi lì».
A rileggere le sue dichiarazioni della vigilia, sembrava molto scettico sulle sue possibilità di vincerla. E invece lei stava benone…
«Beh, mica potevo dire che avrei staccato tutti… (ride, ndr)».
E invece staccò proprio tutti, in picchiata giù dal Poggio fino a Sanremo.
«Dopo aver attaccato alla Cipressa, attaccai di nuovo in cima al Poggio e l’unico a starmi a ruota, almeno fino al primo tornante, fu Alfredo Chinetti. Feci la discesa a tutta, allungai e quando fui sull’Aurelia avevo un buon vantaggio. A quel punto misi la testa giù sul manubrio, continuai a spingere al massimo e vinsi con un bel distacco. Era il mio dodicesimo tentativo. Dietro stettero un po’ a guardarsi, ma mica potevo restare lì ad aspettarli eh…! (ride di nuovo, ndr). Nel 2022 Mohorič ha vinto nella stessa maniera».
Pochi mesi dopo venne la gioia più grande, il trionfo al Giro d’Italia all’Arena di Verona.
«Rinunciai alle Classiche del Nord per andare in Spagna a correre la Vuelta, che non avevo mai fatto, per preparare il Giro d’Italia. Fu la scelta giusta. Al Giro ero già arrivato secondo nel 1977 e 1979, ero sempre lì. Sono uno dei corridori ad aver indossato la maglia rosa per più giorni: Merckx ne ha di più (proprio così: 1° Merckx 77 giorni, 2° Binda 59, 3° Moser 58, ndr). E nel 1985 arrivai ancora una volta secondo».
Ha visto cosa ha fatto Pogačar alle Strade Bianche?
«Eccome se l’ho visto! Era la prima corsa che faceva, al primo scatto li ha piantati tutti e si è poi fatto 80 km da solo. Mica facile. Vero che dietro non si sono tanto organizzati, ma non sarebbe cambiato niente».
Lo scorso anno venne battuto da Van der Poel: ora arriva la rivincita…
«Ognuno si sta preparando a casa propria, sono curioso di vedere come andrà a finire».
Ganna?
«Un anno fa è andato forte ed è arrivato secondo. Quest’anno ha avuto problemi di bronchite, lui deve essere al 100% e mi pare non sia ancora in quella stessa condizione. Ha perso la cronometro di apertura alla Tirreno-Adriatico, vinta a sorpresa da Ayuso. La Sanremo può vincerla, ma se arriva in volata con i velocisti non c’è niente da fare. Sono dei diavoli quelli. Vediamo».
Lei di Roubaix se ne intende (tris 1978, 1979, 1980); quest’anno Ganna punta tutto sulle Olimpiadi e pare ci rinunci, ma può essere in futuro la sua corsa?
«L’ha già vinta da dilettante (nata nel 1967 per i dilettanti, dal 1995 la Parigi-Roubaix Espoirs è riservata agli Under 23, e nel 2016 Filippo Ganna è stato il primo, e finora l’unico, italiano a vincerla, ndr). Lo scorso anno è arrivato tra i primi, sesto. Lui fa tanta pista, ma la strada è un’altra cosa. Secondo me, dopo le Olimpiadi potrebbe dedicare un paio di stagioni alla strada. Prenda Jonathan Milan, fa pista ed è fisicamente un corridore simile a lui: lo scorso anno ha vinto la Maglia Ciclamino al Giro d’Italia. Abbiamo bisogno di corridori italiani, perché anche alle Strade Bianche davanti ne avevamo pochi».
Francesco, quarant’anni fa nel 1984 lei visse una seconda giovinezza nella sua carriera; ora ne vive un’altra nella vita con la sua nuova compagna, Mara Mosole. «Che coss’è l’amor» canterebbe Vinicio Capossela…
«Sì, ma a settant’anni l’amore lo si vive in un altro modo (altra risata, ndr). Io e Mara ci conosciamo da tanti anni. La vedevo quando correva e nel 1986 abbiamo fatto i campionati del mondo a Colorado Springs, io in nazionale maschile e lei in quella femminile. Andavo alle serate che suo padre, Remo Mosole presidente della Unione Ciclisti Trevigiani, organizzava per presentare la squadra nella quale mio figlio Ignazio correva insieme al figlio di Mara. Insieme, abbiamo pedalato all’Eroica, l’Intrepida e l’Ardita che quest’anno si svolgerà ad Arezzo il 22, 23 e 24 marzo».
Ho letto che quando andate la sera a cena, la macchina la guida Mara. Conferma?
«Sì. Anche perché lei è astemia, e io a tavola a un buon bicchiere di vino non rinuncio. Quando invece siamo a casa insieme, cucina lei; è brava, ma io non sono uno dai gusti difficili, mi piace un po’ di tutto».
E un bel vestito per il matrimonio di Ignazio e Cecilia è già pronto?
«Certo, ne ho più di uno! Si sposeranno a fine giugno in Toscana, quando il Tour de France parte da Firenze (la data prescelta è il 30 giugno, ndr)».