il caso
martedì 2 Gennaio, 2024
di Donatello Baldo
Un campione del moderatismo come Giorgio Manuali scrive inascoltato sulla ormai famosa chat interna al partito trentino di Giorgia Meloni: «Le polemiche non si placano nemmeno a Natale, e per fortuna che ci chiamiamo Fratelli d’Italia».
Manuali, però, non sapeva che quello a cui assisteva era solo l’aperitivo. Perché tra Natale e Capodanno, sempre tramite WhatsApp, altroché polemiche: sono volati gli stracci tra i più alti dirigenti meloniani, arrivando alla fatidica frase: «Ci vediamo in tribunale».
Tutto è cominciato quando il commissario Alessandro Urzì ha comunicato le dimissioni dal ruolo di presidente del circolo di Trento di Francesca Barbacovi, «per motivi personali» dice lui, anche se qualcuno ipotizza che i motivi siano tutti politici. Urzì, nello stesso messaggio propone come commissario cittadino Alessandro Iuriato, ed è a questo punto che interviene la deputata Alessia Ambrosi: «Le dimissioni di Barbacovi — sostiene — sono indicative della situazione in cui versa il partito». E sul nome del commissario, d’accordo con il collega Andrea de Bertoldi, propone al posto di Iuriato due più conosciuti e navigati militanti, quali l’ex consigliera provinciale Katia Rossato o il consigliere comunale Andrea Merler.
Il riferimento alla «situazione in cui versa il partito» fa scattare Urzì, che così replica: «Questa speculazione è inaccettabile e sintomo di una continua delegittimazione del partito stesso». Interviene a questo punto de Bertoldi: «Dovremmo essere Fratelli d’Italia, non “Fratelli- Coltelli, un partito dove l’autorevolezza prevale sull’autorità. Ma purtroppo — continua il deputato — quando manca l’autorevolezza rimane l’autorità. E i risultati sono agli occhi di tutti». Si riferisce alla gestione Urzì del partito, e sempre riferendosi a Urzì, così prosegue: «Mi sono candidato in un partito quasi al 2% senza un consigliere comunale, e non vorrei che la saccenza autoritaria di qualcuno ci riportasse agli stessi risultati di allora. Ma rimango silente e ubbidiente».
Urzì si accende, e scrive un messaggio chilometrico in cui attacca frontalmente il collega: «Non è stato troppo silente. Credo che potremo convocare certamente una riunione per ascoltare i suoi dialoghi in luogo pubblico, tutto conservato negli archivi del partito, in cui testualmente ricordava che il partito avrebbe dovuto seguire la linea di isolare la candidata presidente mettendo con le spalle al muro chi sosteneva la linea ufficiale del partito». Urzì, quindi, afferma di essere in possesso di una registrazione «clandestina» di una conversazione del collega. Tecnicamente, una intercettazione ambientale. Di un deputato, quando nemmeno la magistratura può tanto senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare.
Di più, il commissario trentino questi audio dice di essere disposto a diffonderli «in una riunione», e riferisce lui stesso di averli già diffusi. Pure nella chat interna al gruppo dirigente scrive qualche passaggio dell’intercettazione, che riporta alcune frasi di de Bertoldi al telefono in cui — secondo Urzì — starebbe parlando male del partito, addirittura «progettando un golpe» ai danni del commissario.
«Onorevole Urzì — risponde immediatamente il deputato de Bertoldi — di questo se ne occuperà presto la Procura della Repubblica». E aggiunge, intendendo che sia Urzì colui che ha origliato e registrato le sue conversazioni: «Stia sereno e intercetti pure». Al che è ora il commissario a spiegare: «I treni sono luoghi pubblici dove spesso si parla ad alta voce». E di nuovo de Bertoldi: «Ribadisco, Urzì: risponderai della divulgazione a chi di dovere».
Anche Alessia Ambrosi è nel mirino di Urzì. Accusata tra le altre cose di aver tramato contro Francesca Gerosa alla vicepresidenza e di essere in vacanza quando a Roma si vota la legge di bilancio: «Dopo aver partecipato a centinaia di votazioni in tua completa assenza — gli risponde piccata — mi fa davvero specie che un campione di assenteismo come te si permetta di eccepire alcunché. Un atteggiamento miserabile di chi si è ridotto a fare lo spione sui treni, specialista in sconfitte. L’unica verità — afferma infatti la deputata — è che sei riuscito a farci ripiombare sotto la Lega nel voto, mentre in tutta Italia si vince alla grande. Solo per questo dovresti arrossire e chiedere scusa, e sopratutto lasciare l’incarico».