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domenica 2 Giugno, 2024

Galbiati, la confessione del coach dell’Aquila: «Vivo di basket ma cucino per sopravvivere. Trento? Il posto perfetto»»

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L'allenatore si racconta dopo la prima stagione con la Dolomiti Energia: «I miei riferimenti da coach? Andrea Trinchieri e Luca Banchi»

Scendere lungo la via che costeggia il Castello del Buonconsiglio per poi passeggiare in via San Martino magari verso le 19 quando gli spazi all’aperto dei locali si riempiono. Piazza Duomo invece la preferisce nei momenti in cui è meno affollata, la sua base è alle Albere anche se la stragrande maggioranza del tempo la trascorre in palestra. Paolo Galbiati, coach dell’Aquila Basket, vive di basket nel senso più letterale del termine. Il suo lavoro è la sua passione, la sua passione è il suo lavoro.

Quando torna a casa dopo una partita disputata la sera davvero va ancora alla ricerca di pallacanestro?
«Sì, di Nba e spesso trovo match in diretta a notte fonda. Perfetto direi. Non so cosa dirvi, sono fatto così. Non chiedetemi di hobby particolari perché non ne ho. Anzi, mi piace leggere ma da tanto, troppo tempo non lo faccio. Compro spesso libri: biografie di sportivi, cantanti, testi motivazionali ma poi rimangono lì dove li appoggio. Non posso dire neppure la cucina perché quando mi preparo qualcosa da mangiare è praticamente per sopravvivenza. Cammino questo sì, per le vie del centro con cappellino con la visiera e cuffie. Da qualche mese ho iniziato a correre sul tapis roulant la mattina presto. Però anche mentre corro guardo pallacanestro. E siamo daccapo».

Si può dire che il legame con il basket sia un qualcosa di innato?
«È stato amore a prima vista. Sino ad una certa età sono stato aiutato anche dall’altezza, a 14 anni ero già 170 centimetri, poi mi sono quasi bloccato e ora sono 178. Quindi ho cominciato ad allenare nel 2010 (lui è un classe ’84) nelle giovanile del Bernareggio per poi passare, quattro anni più tardi, all’Olimpia Milano. La prima esperienza da coach professionista è datata 2018 con l’Auxiulium Torino».

Quali sono i suoi punti di riferimento?
«Luca Banchi e Andrea Trinchieri. Ovviamente Ettore Messina è un fenomeno ma con i primi due, oltre ad esserci una vicinanza generazionale maggiore, c’è una rapporto profondo. Con Trinchieri ci conosciamo da quando io ero ragazzo e non abbiamo mai perso i contatti. Dopo gara uno di playoff contro Milano mi ha telefonato dicendomi che, dal suo punto di vista, è stata la gara che meglio ho allenato nella mia carriera. I suoi consigli e i suoi punti di vista sono sempre preziosissimi soprattutto quando le cose non vanno per il verso giusto. Banchi lo considero il mio maestro».

Torniamo a Trento, prima di parlare di pallacanestro giocata ci dica che ha rapporto ha con i trentini.
«Persone estremamente rispettose e discrete. Chi viene al palazzetto spesso mi riconosce per strada ci si saluta ma nessuno è mai andato sopra le righe in un verso o nell’altro. Proprio oggi mi è successa una cosa che ho trovato bellissima. Per uno dei meravigliosi progetti in ambito sociale che il club da sempre porta avanti questa mattina ho allenato qualche ragazzo diversamente abile. Uno di loro mentre giocavamo ha detto “tu sei quello della palestra grande”. Ecco pensare di essere ricondotto ai momenti di svago, di divertimento e qualche volta di gioia è emozionante. Ah, poi di Trento voglio dire un’altra cosa…».

Prego…
«Si respira un’aria meravigliosa. E non in senso metaforico. Io vengo dalla Brianza, magari voi la date per scontata, ma vi posso assicurare che non è così».

Praticamente il posto perfetto quindi?
«Manca solo il mare. Anche se sto imparando ad apprezzare le montagne».

Veniamo alla stagione sportiva appena conclusa. Qual è il suo bilancio?
«Si poteva fare un po’ meglio ma anche molto peggio. Quindi sostanzialmente positivo. È stata un’annata caratterizzata da tante stagioni, pre season e avvio da sogno, gennaio e febbraio da incubo e poi la ripresa. Il tutto caratterizzato da una serie importante di infortuni arrivati male. Mi spiego meglio. I problemi fisici fanno purtroppo parte del gioco ma noi ci siamo trovati a che fare con ko diversi nello stesso ruolo e nello stesso momento».

Eppure gli obiettivi fissati la scorsa estate li avete raggiunti.
«Già, peccato solo per l’Eurocup dove comunque – tranne la disastrosa trasferta di Cluj – abbiamo sempre tenuto botta arrivando ad una vittoria dalla qualificazione. Final Eight di Coppa Italia e playoff sono stati centrati, poi sulla nostra strada abbiamo trovato Milano. Abbiamo fatto il massimo di quelle che erano le nostre possibilità».

Tornando a gennaio e febbraio: che rapporto ha con le critiche?
«Fanno parte del gioco soprattutto per un allenatore. Poi ovviamente ci sono critiche e critiche, personalmente ho abbandonato i social. Peccato non lo abbia fatto anche mia mamma che invece legge tutto e questo è un motivo che spesso dà il via a discussioni molto accese tra noi. Farle cambiare idea però credo sia impossibile».

E all’interno dello spogliatoio come ha gestito quel periodo?
«Siamo stati tutti molto bravi nel mantenere la barra sempre dritta lavorando, se possibile, ancora di più e nello stesso modo. Sono emersi con prepotenza l’unità del gruppo e lo spirito dello spogliatoio».

Passiamo ai singoli. C’è qualcuno che l’ha stupita particolarmente?
«Grazulis. Quattro anni fa lo sfidai in A2 e già si capiva quello che era un potenziale allora non del tutto espresso. Ora è un giocatore totale pronto ad essere protagonista ai più alti livelli europei. Vi dico un’altra cosa: contro Sassari e Scafati ha giocato senza mai allenarsi con un ginocchio davvero messo male. Un uomo a tutto tondo» con un carattere particolare, capace di grande empatia come di chiudersi».

E di Forray che ci dice?
«In precampionato alla fine di una seduta nella palestra di Sanbapolis insieme al nostro massaggiatore Franco Iachemet sono uscito per prendere una boccata d’aria. Poco dopo è passato Toto visibilmente nervoso e arrabbiato, ci ha salutato a mala pena ed è salito in macchina. Sapete perché? Aveva perso la partitella e probabilmente un paio di miei fischi non erano stati perfetti. Devo aggiungere altro?».

Proprio dalle colonne de «il T» qualche giorno fa Luca Conti ha parlato di un rapporto che con lei non è mai decollato e che sarebbe poi stato alla base della sua stagione non proprio brillante.
«Ho letto e ci siamo chiariti. Almeno spero. In effetti con lui ho faticato a livello extracampo a trovare la chimica giusta. Dal punto di vista sportivo nulla da rimproverare sul fronte impegno, poi però o non sono stato capace io di trasmettere ciò che volevo o lui non è riuscito a recepire i messaggi».

L’Aquila Basket il prossimo agosto ripartirà da Forray, Ellis, Hommes e Niang. Ce lo conferma?
«Sì, queste sono le certezze. Al momento, però, non chiedetemi di più perché il mercato sarà lunghissimo e sempre più complicato. Con qualche altro elemento del roster ci stiamo confrontando per capire se proseguire insieme (il coach non lo dice mai nomi dovrebbero essere quelli di Biligha e Alviti, ndr)».

Passiamo ai pronostici. Chi vincerà lo scudetto e come vede l’Italia in ottica qualificazione alle prossime Olimpiadi?
«Magari risulterò banale ma credo la finale sarà tra Milano e Bologna con i primi leggermente favoriti. Per la nazionale spero tantissimo di vederla a Parigi, sarà tosta e il gruppo potrò fare la differenza. Porto Rico e Lituania sono avversari di livelli che si possono superare solo mantenendo sempre alta la fiducia in sé stessi».

Concludiamo con chi il giocatore italiano e straniero che maggiormente l’anno impressionata di questa serie A?
«Ne dico tre. Nico Mannion che a Varese ha giocato su livelli mostruosi, Mouhamed Faye di Reggio Emilia e Rayjon Tucker della Reyer, un giocatore che uno vorrebbe sempre avere».