Il ritrovamento

sabato 25 Maggio, 2024

Garniga, trovato morto un cucciolo di orso albino

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Alcuni escursionisti avevano segnalato ai forestali l’animale in difficoltà

Si è conclusa con il più tragico degli epiloghi la breve vita di un orsetto albino che era stato notato settimane fa nella zona sopra Garniga, ai piedi del monte Bondone: la morte. Una fine che almeno risponde alla domanda: «Che fine ha fatto quel piccolo orso?» che alcune persone della zona si chiedevano da settimane e tra queste quelle che hanno inviato l’immagine al T raccontando la vicenda. Una segnalazione che permette ora di raccontare questa storia. Una storia fatta della sorpresa davanti a un avvistamento tanto raro, della preoccupazione per lo stato di salute del cucciolo, dell’arrivo dei forestali e poi di un epilogo prima misterioso e poi svelato tragico. È stato infine il dirigente del Servizio Foreste della Provincia Giovanni Giovannini a comunicare che l’orsetto «era stato ritrovato morto».
L’avvistamento
I fatti risalgono a domenica 12 maggio, quel giorno alcune persone stavano percorrendo il sentiero che da Garniga porta a malga Albi quando ad un certo punto hanno visto fermo davanti a loro un orsetto particolare. Il pelo completamente bianco, come la neve d’inverno, all’inizio non ha reso chiaro agli escursionisti cosa si trovava davanti a loro, ma avvicinandosi un po’ hanno capito: un cucciolo di orso albino. Si trattava ovviamente di un avvistamento straordinario, l’albinismo negli orsi bruni, come nelle altre specie, è un fattore estremamente raro. Agli escursionisti è parso subito chiaro però che ci fosse qualcosa che non andava, il cucciolo non si muoveva e, seppur vivo, appariva in grande difficoltà. Lo si capisce anche dalle mosche che si notano nel dettaglio della foto, non è normale che si posino su un animale. A questo punto è scattata la chiamata ai forestali.
L’intervento
«Abbiamo ricevuto la segnalazione e ci siamo portati sul posto – spiega Giovannini – La priorità numero uno rimane quella di garantire la sicurezza delle persone e degli operatori». Per questo i contatti con il cucciolo, spiega il dirigente, devono essere tenuti al minimo. Il rischio che la madre fosse nei paraggi, e che potesse reagire in maniera aggressiva, è era alto. «Il cucciolo si trovava sulla strada. Gli operatori hanno provveduto a spostarlo e poi è stato fatto un presidio fino a tarda sera per controllare che non passassero altri escursionisti». Il cucciolo era in difficoltà, ma non c’è stato un intervento in questo senso. «Si l’animale non stava bene, probabilmente era un po’ debole – osserva Giovannini – A volte stanno fermi, ma la nostra indicazione è quella di stare lontani per non provocare le madri». Quindi l’animale non è stato visto da nessun veterinario. «In questi casi il protocollo non prevede l’intervento del veterinario, lo abbiamo spostato e basta». I forestali quindi hanno presidiato la zona «fina a tarda notte e poi abbiamo verificato che il cucciolo non c’era più».
Il ritrovamento
La fine dell’orsetto albino si è scoperta solo in seguito. «Tre giorni dopo è stata fatta una verifica da parte del personale sul posto ed è stato trovato morto. In alcuni casi purtroppo i cuccioli muoiono, succede». È stata quindi recuperata la carcassa per le analisi genetiche. Giovannini ribadisce che, nonostante il decesso, la linea seguita fosse quella giusta. «Il protocollo prevede di favorire il ricongiungimento familiare, quindi almeno come primo intervento è giusto spostarlo dalla zona trafficata e lasciare che sia la madre a recuperarlo». Un anno fa però, a giugno del ‘23, la Provincia aveva salvato un cucciolo in difficoltà: M89, l’orsetto, ai tempi di due mesi, da allora ospitato al Centro faunistico di Spormaggiore. «Ma quello è un caso eccezionale – spiega Giovannini – Perché il cucciolo era caduto per centinaia di metri in un canalone riportando varie fratture e la madre era stata vista mentre lo abbandonava. Bisogna capire che se si interviene per salvarli li si condanna alla cattività. Perché se poi hanno bisogno di lunghe cure, nel tempo si abituano all’uomo, ai suoi odori e ai suoi rumori e non è più possibile rilasciarli in natura. Il rischio è troppo alto».