la storia
martedì 30 Gennaio, 2024
di Redazione
Giovanna Luisa è un’insegnante in pensione, che ama leggere, disegnare e osservare il mondo. Come volontaria appoggia i medici del Punto di Incontro e gli insegnanti del Tambosi, oltre che occuparsi dei progetti di scuole materne gestiti dal Cam (Consorzio associazioni con il Mozambico) tramite la sua associazione A scuola di solidarietà.
Come è iniziata la sua esperienza di volontaria?
A 30 anni sono partita per il Mozambico con mio marito: lui era obiettore di coscienza e ha deciso di svolgere nel Paese africano il suo servizio civile di due anni come medico volontario del Cuamm, mentre io lavoravo in un asilo del posto. Rientrati in Italia, abbiamo subito dato la nostra disponibilità a ripartire, ma siamo potuti tornare solo dieci anni dopo, al termine del conflitto in Mozambico. A quel punto avevamo tre figli (la prima nata proprio in Mozambico) e quindi ho deciso di restare in città, a Maputo, per garantire loro un’educazione adeguata, mentre mio marito era a Beira. In quel periodo ho avviato un laboratorio di cesteria per i ragazzi di strada delle suore salesiane. Dopo due anni ho lasciato il laboratorio, che però è tuttora attivo. Nel frattempo, avevo iniziato a lavorare in una scuola periferica di Maputo e con un gruppo di insegnanti abbiamo fondato una nuova scuola, con un progetto di borse di studio per i docenti. Questi, infatti, avevano spesso un livello di istruzione insufficiente e avevano bisogno di formarsi a loro volta. Nel 1993, la scuola è diventata comunitaria, quindi era lo Stato a pagare gli stipendi degli insegnanti, che ora sono tutti professionisti. Abbiamo, però, mantenuto le borse di studio per i ragazzi più poveri della comunità. Ad oggi gli iscritti sono circa 3500.
Come ha iniziato a collaborare con il Cam? Che ruolo ha in questa associazione?
Dopo la nostra esperienza in Mozambico, la Provincia ha preso in mano un progetto in via di abbandono a Caia, con l’intenzione di affidarlo ad un’organizzazione di cooperazione internazionale. Paolo Rosati, dell’associazione Sottosopra, ha contattato me per l’ associazione A Scuola di Solidarietà e mio marito come membro del Cuamm per formare un consorzio di associazioni di volontariato. Quindi, insieme ad altre quattro o cinque associazioni abbiamo costituito il Cam, dividendoci per settori di interesse. Io partecipo come membro del consiglio direttivo e mi occupo del settore dell’istruzione. Con il Cam abbiamo tentato una collaborazione con scuole del posto, ma il progetto è fallito per mancanza in loco di coordinamento e di professionisti capaci di formare gli insegnanti. Abbiamo quindi deciso di aprire delle scuole materne dedicate ai figli di genitori morti per Aids e affidati ai nonni, che spesso hanno anch’essi figli piccoli e poche risorse per occuparsi anche dei nipoti. Per facilitare queste famiglie abbiamo, quindi, accolto i bambini garantendo loro almeno un pasto e le giuste norme igieniche. Inoltre, insegnando loro la lingua portoghese, facilitiamo il loro ingresso nella scuola primaria e diminuiamo il tasso di abbandono scolastico. Attualmente abbiamo quattro scuole aperte con 340 iscritti, di cui il 60% più povero non pagante. Gli altri pagano una quota di 2 euro l’anno.
C’è un momento o una persona che ricordi con particolare affetto o che ritieni più significativa/o per la tua esperienza di volontaria?
Quando lavoravo alla scuola materna è stata dura perché dovevo confrontarmi con persone che mi facevano notare la loro difficoltà e il loro disprezzo per sé stessi. Un’insegnante pizzicava la propria pelle sul polso, poi guardava la mia pelle e diceva: “Questa non vale niente”. La sua consapevolezza sul diverso valore della pelle nera rispetto a quella bianca mi feriva profondamente. Io ho provato, e in qualche modo sono riuscita, a scalfire la sua certezza, a farle capire quanto fosse importante il suo lavoro e il suo effetto sui bambini. Avevo l’obiettivo di farla diventare una persona che poteva contare su sé stessa.
In che modo il volontariato ha influito sulla sua vita?
Io penso che avere uno scopo reale e non consolatorio sia fondamentale nella vita. In questo senso, il volontariato mi ha dato un duplice punto di vista sul mondo: qui in Italia e là in Mozambico. Ho potuto vedere, per esempio, come in Mozambico si sia fatto poco e male per istruire la popolazione. La maggior parte dei fondi sono stati spesi per costruire edifici poi caduti in disuso o smantellati dalla popolazione stessa per recuperarne il legno. Ma per istruire non bastano banchi e mura. Serve qualcuno che educa e qualcuno che goda dei benefici di quell’educazione. L’istruzione è qualcosa di complesso, che viene anche dall’interazione con i più anziani. In Mozambico, invece, si è creata una spaccatura fra generazioni, con i giovani convinti di avere la verità in tasca in quanto capaci di leggere e scrivere e i vecchi isolati e ignorati.
Fare volontariato richiede del tempo, le capita mai di rinunciare ad altre attività per dedicarsi all’associazione?
Ho sempre guardato al volontariato come a una necessità, perché fin da piccola mi rendevo conto dell’ingiustizia del mondo e volevo cambiare le cose. E per farlo era necessario partire e andare dove c’è più bisogno. L’azione, in questo senso, è un’ingrediente fondamentale per combattere l’idea che non si possa fare nulla, che le situazioni di disagio e di ingiustizia non ci riguardino. Ad oggi, faccio volontariato perché posso farlo, perché sono in una situazione di benessere e non ho bisogno di dedicarmi ad altro per avere più di quello che ho già. Ma mi rendo conto che i giovani di oggi vivono in condizioni di precarietà e disagio rispetto ad allora e quindi spesso scelgono di non mettersi in gioco.
Ha qualche suggerimento per i volontari o delle richieste rispetto alle problematiche del settore della cooperazione internazionale?
Per quanto riguarda la politica, restituire alla cooperazione il 25% del pil che è stato tolto. Per molte associazioni è importante avere una fonte di finanziamento, soprattutto per sostenere le loro attività di sviluppo all’estero. Per i giovani il consiglio è di non distogliere mai lo sguardo dalle persone e di non dimenticare il contesto: quando si va in un altro Paese bisogna entrare con le pantofole non con gli scarponi, e bisogna ascoltare a lungo e studiare la storia del paese, non solo l’attualità.
Per concludere, le chiedo di completare questa frase: fare volontariato mi rende felice perché…
Perché rende consapevoli, permette di assumere delle responsabilità, favorisce gli incontri e abbassa i pregiudizi.
L'INTERVISTA
di Anna Maria Eccli
Violoncellista, sposata con un principe africano, gira il mondo per lavoro. Nella città della Quercia ha deciso di comperare un rifugio dalla vita frenetica parigina. Proprio accanto alla residenza per cui i suoi avi si indebitarono