L'intervista
sabato 9 Marzo, 2024
di Gabriele Stanga
Il ritorno a Sanremo nel 2024, la data zero del tour teatrale e poi la casa vacanze in Lessinia e l’archivio storico con 40 mila lettere stimate e 70 vestiti donati alla fondazione museo storico. C’è quello della vittoria a Sanremo e quello dell’Eurovision e anche qualcun altro che fece scalpore per il periodo storico in cui venne indossato. Le lettere, poi, sono una vera e propria finestra sulla società italiana tra la seconda metà degli anni ‘60 e i primi anni ‘90. Raccontano storie familiari, personali, complimenti e e qualche rimprovero. Può sembrare strano ma per la maggior parte sono donne a spedirle. Poi, sì, certo, ci sono anche ammiratori e spasimanti, alcuni addirittura dal Giappone. Sono passati 60 anni da quando Gigliola Cinquetti vinse Sanremo e di lì a poco l’Eurovision Song Contest con il brano «Non ho l’età». Era il 1964 e la cantante all’epoca aveva solo 16 anni. Poco tempo dopo sarebbe esplosa la contestazione giovanile con i moti del 68 e i primi movimenti femministi. Molto è cambiato da allora, sia musicalmente che a livello di società. All’Eurovision hanno vinto altri due italiani, Toto Cutugno nel 1990 e i Maneskin nel 2021. Una rock band italiana oggi sul tetto delle classifiche mondiali, roba impensabile nei primi anni ‘60. A Sanremo, intanto vince un’altra donna, Angelina Mango e la lotta femminista si è fatta intersezionale. Gigliola, però continua a cantare e conserva quella simpatia e gentilezza che l’hanno resa celebre e amata dal pubblico di tutto il mondo. La cantante sarà ospite del Teatro sociale di Trento martedì 12 marzo alle ore 20,30, in un concerto organizzato dalla Fondazione Cassa Rurale di Trento per celebrare il proprio quindicesimo anniversario di attività. Durante il concerto l’artista sarà accompagnata da un’orchestra composta dai migliori diplomati del conservatorio Bonporti che la seguiranno per tutta la tournèe, che avrà inizio proprio con la data di Trento. L’evento ripercorrerà le tappe principali della carriera di Gigliola Cinquetti, a partire proprio da «Non ho l’età». Nella giornata di ieri, invece, la Fondazione museo storico del Trentino ha voluto renderle omaggio con un incontro pubblico dedicato al suo archivio. A margine dell’evento, dopo qualche scatto con i fan e la firma di qualche autografo, la cantante veronese ha risposto a qualche domanda del T.
Cinquetti, partiamo da Sanremo. Che emozione è stata tornare al festival dopo sessant’anni e che clima ha trovato?
«È stato un momento bellissimo ed emozionante, così come lo era stato nel 2022 per l’Eurovision. Questa volta, però ero ancora più emozionata e felice. È stato un regalo gigantesco che la vita mi ha fatto e non avrei mai immaginato potesse accadere. Essere ricordati e vedere che la propria canzone viene ricordata nel corso di una vita intera, è un’emozione incredibile. La mia famiglia e tutte le persone a me care mi hanno sostenuto in questo percorso. È stato il momento in cui si è concentrato il mio senso di gratitudine verso di loro».
C’è qualche giovane artista che ha avuto modo di incontrare e che l’ha colpita particolarmente?
«A Sanremo c’è uno spirito comunitario molto bello. Gli artisti rappresentano degli affetti per le persone. Questo, però avviene solo lì per magia sul palcoscenico. Nel backstage c’è un caos tremendo e non ci si incontra quasi mai. Tuttavia, siccome tutti sappiamo metterci nei panni dell’altro, il feeling che scatta su quel palco è davvero autentico. Giusto per caso ho incrociato Mahmood che amo molto e abbiamo avuto modo di parlare un po’».
Che tipo è Mahmood?
«Mi è molto simpatico. Era in uno stato di particolare concentrazione, è un’artista molto serio e che si concentra tantissimo. Ho apprezzato molto la sua canzone, così come “Un ragazzo una ragazza” dei The Kolors che trovo deliziosa. In generale credo ci fossero molte canzoni interessanti e orecchiabilissime in gara».
Da dove nasce, invece l’archivio che ha donato al museo storico?
«Nacque da un trasferimento dalla mia casa di famiglia a Cerro in Lessinia, cui ero molto legata. Dopo un’operazione dolorosissima di trasloco e raccolta di scatoloni, quando pensavo di aver finito, ho scoperto un portellone mai aperto. Lì c’erano le 150 mila lettere dei miei fan. La casa discografica aveva detto di buttarle via e che non servivano a nulla. invece, mio padre e mio zio avevano messo ordine e le avevano tenute. Sono una memoria storica importante».
Chi erano gli autori?
«Soprattutto la povera gente, che spesso faceva anche fatica a scrivere. Ma proprio per questo sono struggenti e belle. Traboccano di vita e sentimenti, in poche righe fanno capire una storia. Alcune arrivavano dalla Romania e dalla Francia. Sono opere di scrittura popolare, non appartengono a chi le riceve ma al popolo, era giusto che tornassero ad appartenere a tutti. In queste lettere l’artista diviene strumento del pubblico che lo utilizza come crede e spesso parla di sé e dei propri problemi. Penso sia un bel modo di farsi utilizzare».
C’è chi le scrive ancora?
«Ricevo ancora le lettere di un ragazzo di 15 anni, che adesso ne ha 80. Si chiama Masaki Yaki e viene dal Giappone, so tutto della sua vita e anche della situazione del Giappone e dei suoi problemi d’ambiente, perché è un’ambientalista convinto. È diventato quasi un tormentone, anche i miei figli vogliono sapere se ha scritto. È venuto a tutti i miei concerti in Giappone e anche in Italia un sacco di volte. Si diventa amici alla fine».
E i vestiti?
«Ce ne sono tantissimi. C’è quello verde di Sanremo del 1964, che dalla tv sembrava grigio. Quello blu dell’Eurovision che scelsi io personalmente e poi una rosa corto, di quando cantavo La Rosa Nera. Era una delle prime minigonne, arrivava sopra il ginocchio e per l’epoca ero uno scandalo. ho ricevuto anche molte lettere in cui veniva criticato, in contrapposizione a quelle di elogio per Non ho l’età. Non era da me, insomma».
Che canzone era «Non ho l’età»?
«È una canzone sul consenso, adesso verrebbe capita meglio di allora. All’epoca erano altri i temi messi a fuoco. C’era la libertà che veniva prima. Finché non c’è libertà, non c’è consenso né rifiuto. Mi sorprende che si parli ancora di questa canzone dopo 60 anni».