Sanità
domenica 11 Febbraio, 2024
di Davide Orsato
Ci sono i soldi (e ne servono davvero tanti). E c’è, soprattutto, l’idea, di cui si può dire ancora pochissimo per questioni di proprietà intellettuale. Sono due condizioni necessarie, ma non sufficienti, per portare a termine un ambizioso progetto di ricerca scientifica. La terza è la «risorsa umana»: scienziati (in questo caso soprattutto medici), tecnici, ingegneri, che creeranno il prototipo, seguendo, passo dopo passo, le fasi cliniche: una squadra che si arricchirà a breve di elementi – chiave. Il «cuore artificiale italiano» sarà il protagonista assoluto dell’evento conclusivo della mostra «Trovando il cuore», allestita al palazzo delle Albere a fine dicembre e che racconta i progressi (e le prospettive) della cardiochirurgia italiana, anche se sarebbe più corretto definire «triveneta». Da decenni, infatti, il centro nevralgico della disciplina è il centro Gallucci, ossia l’unità di cardiochirurgia dell’ospedale universitario di Padova, dal 2003 guidato dal medico roveretano Gino Gerosa. E proprio il Gallucci è impegnato da tempo alla realizzazione di un prototipo. La gara è mondiale, ci sono ricercatori francesi, statunitensi e israeliani che dicono di essere molto vicini. Al team italiano servono due anni, secondo quanto affermato dallo stesso Gerosa a dicembre.
Oggi pomeriggio, alle 17, il cardiochirurgo presenterà il progetto al pubblico trentino. Presente un testimone d’eccezione: Pietro Zorzetto, il primo a ricevere, nell’ormai lontano 2007, un cuore artificiale (i due nella foto). Attenzione, però, si tratta di quelli «provvisori». A spiegare la differenza è proprio il professor Gerosa: «Il problema dei cuori artificiali disponibili ora — spiega — è che sono pensati come “ponte” in attesa di un trapianto di cuore vero. Hanno sostanzialmente due problemi che devono essere risolti: sono troppo grandi oppure sono troppo rumorosi. In entrambi i casi ciò impatta sulla qualità della vita del paziente». Nel caso di Zorzetto, il cuore artificiale è durato quattro anni. Quindi il secondo trapianto: ora ha 63 anni ed è in buona salute. Quella del cuore artificiale è una frontiera fondamentale: «C’è una necessità altissima — spiega sempre Gerosa — a fronte di una disponibilità ridotta. Ogni anno ci sono 750 persone che hanno bisogno di un cuore nuovo, ma si possono fare solo trecento trapianti. Con il diminuire di incidenti stradali mortali, soprattutto motociclistici, il che è naturalmente una buona notizia, gli organi vengono donati sempre più spesso da persone che muoiono per una causa cardiaca. Questo compromette la possibilità di utilizzare l’organo. Ma siamo più che mai fiduciosi: abbiamo un solido fondamento per la realizzazione di un nuovo prototipo, una fonte di finanziamento certa (al momento non può essere svelata, ndr) e si potrebbe vedere già a breve la realizzazione del prototipo e la prima sperimentazione a livello animale».
In attesa della svolta, svolta che, utilizzando le parole di Gerosa, potrebbe essere un «pietra miliare non solo per la sanità, ma per l’industria italiana» c’è, però, una buona notizia. A maggio 2023, proprio Gerosa aveva effettuato il primo trapianto cardiaco a cuore fermo, cioè che aveva smesso di battere da almeno 20 minuti. Anche quella prometteva di essere una rivoluzione. Lo è stata. «Da allora — conclude il cardiochirurgo roveretano — solo l’èquipe padovana ha replicato l’operazione altre quattro volte. E in tutto in Italia ci sono stati 17 interventi di questo tipo. Abbastanza da poter affermare che i trapianti di cuore potranno essere aumentati del 30%». Quello che basta per salvare molte altre vite, ma non per salvarle tutte. Anche per questo, la corsa al cuore artificiale continua.