L'intervista

mercoledì 3 Luglio, 2024

Gioele Dix: «Giorgio Gaber il mio mito. Ora lo porto sul palco»

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L'attore e regista teatrale sarà stasera a Pergine con il suo progetto tra musica, risate e spettacolo dedicato al «Signor G»

«Dove esistono una voglia, un amore, una passione, lì ci sono anch’io» scriveva Giorgio Gaber in una delle sue più celebri citazioni. Parole, queste, quasi volte a suggerire le modalità con cui portare avanti il proprio ricordo, la propria memoria anche dopo la morte, quella di un uomo che ha scritto pagine indelebili della musica, del teatro e della cultura italiana. Un personaggio diverso, capace di sottoporre al pubblico temi importanti e di rilevanza sociale attraverso un’ironia sottile e mai banale. E se è vero che l’essenza del cantante prende forma attraverso quei tre elementi iniziali – voglia, amore e passione – allora possiamo essere certi di come la sua grandezza risuonerà anche oggi nello spettacolo di Gioele Dix, attore e regista teatrale, intitolato «Ma per fortuna che c’era il Gaber», in programma questa sera nell’area spettacoli di Castel Pergine. Un omaggio sentito in cui Dix, a ventuno anni dalla scomparsa del «Signor G», sceglie di celebrare le profondità delle opere di Gaber e Luporini attraverso un viaggio nel teatro canzone, genere portato in Italia proprio dai due, alternando testi noti ad inediti mai pubblicati. «Per me è stato un maestro» ha spiegato Dix con voce energica, tramite la quale è possibile percepire a pieno proprio la voglia, l’amore e la passione dell’attore, che in Gaber ha visto non solo un rivoluzionario, ma anche un uomo capace di scavare nei meandri di una società complessa, dando forma alle criticità dell’essere umano. Lo spettacolo, che prenderà il via a partire dalle 20.45 e sarà parte della 49ª edizione del «Pergine Festival», causa maltempo sarà ospitato al Teatro Comunale di Pergine.

Dix, lei ha scelto di portare «Ma per fortuna che c’era il Gaber». In cosa crede sia stata una fortuna?
«Gaber nasce come cantante popolare e faceva canzoncine divertenti, ironiche. Poi subisce una trasformazione ad inizio anni settanta e diventa teatrante, performer, un pensatore in musica insieme a Luporini, l’altra sua parte creativa. Secondo me ha fatto qualcosa in più dei cantautori, è stata una figura capace di porre uno sguardo sulla società, sui comportamenti e sui costumi in modo critico, facendo aprire gli occhi a molte persone. Era polemico nel modo giusto, cercava una strada etica, poi era sempre simpatico, gioioso. Da ragazzo andavo a vederlo e mi esaltavo molto, devo anche a lui la scelta di aver intrapreso questo percorso: la sua energia mi ha influenzato, è stato un maestro. Grazie alla sua ironia e alla sua capacità ha raccontato cose molto belle, molto forti, dalla società ai sentimenti umani fino ad arrivare alla politica»
Lo spettacolo è un viaggio nel teatro canzone di Gaber, dove sono presenti brani conosciuti ma anche inediti mai pubblicati. Sfogliando quest’ultimi ha scoperto nuove sfumature del personaggio?
«Ho da tempo un forte rapporto con la Fondazione Gaber, nata nel 2003. La stessa mi ha contattato lo scorso anno spiegandomi come avessero a disposizione materiale di Gaber mai pubblicato, dalle bozze a rivisitazioni di canzoni già note. Sono chicche che nessuno ha mai sentito e che vanno a confermare la qualità delle sue opere. Tra queste anche un monologo molto divertente intitolato «Ottobre», con un signore che aspetta sempre ottobre in attesa della rivoluzione e poi a ottobre non succede nulla. Poi c’è «Ora che non sono più innamorato», canzone del ‘69 che parla di una coppia nella fase pre divorzio, riscritta poi da Gaber e Luporini a fine anni 80 cambiandone completamente lo sguardo, nonostante dolore e disperazione per un amore finito restino presenti. Ci sono diversi spunti in questo spettacolo, oltre al fatto che canto molte canzoni che si conoscono»
La sua qualità?
«Gaber era popolarissimo, soprattutto tra coloro che frequentavano il teatro. Verso la fine facciamo una specie di medley delle sue vecchie canzoni e si vede il pubblico cantare in coro, soprattutto coloro che hanno una certa età. Ha avuto questa grande qualità: fare canzoni semplici e divertenti. In questa nostra messa in scena si saldano le due anime di Gaber, quella più popolare e quella più complessa, dove mostrava che la musica leggera gli stava un po’ stretta»
Ad oggi manca un riferimento così?
«Sì, nel mondo della canzone sì. Non sottovaluterei però alcuni rapper che cercano di dare voce ai pensieri attuali. I riferimenti non mancano, non bisogna sempre essere nostalgici e pensare che ad oggi non ci sia più nulla. Ciò che manca, forse, è la capacità che Gaber aveva di andare così tanto in profondità nelle cose. Questo perché secondo me siamo in un periodo storico di grande superficialità, si sta molto più in superficie, è un modo di fare frutto dei tempi. Un nuovo Gaber non lo vedo»
E per lei, invece, cosa rappresenta la figura di Gaber e più in generale questo spettacolo?
«Nel corso dello spettacolo ne parlo, riprendiamo determinate cose adeguandole alla contemporaneità. È un tributo alla sua grandezza e alla sua bravura, ma è anche un modo per raccontare me stesso e quello che penso. È una buona sintesi di ciò che amo fare a teatro, nonché approfondire quello che mi circonda senza avere uno sguardo superficiale. Se affronto il rapporto tra uomo e donna, la solitudine o i misteri della vita politica italiana, in un paese che vive sempre un po’ sospeso e dove nessuno sembra responsabile di ciò che accade, lo spettacolo mi permette di restare a contatto con queste tematiche. È molto attuale, rappresenta molto bene il mio stato odierno e il mio punto di vista. È un modo critico di stare all’interno della realtà anche con ironia. Lo faccio molto volentieri, mi da soddisfazione e ci metto tanta energia. È una bella miscela»