L'intervista

lunedì 25 Settembre, 2023

Giorgio Boninsegna, 21 anni tra i volumi: «Michela Murgia mi lasciò 10 euro per un “libro sospeso”»

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Un anno fa, a fine settembre 2022, al civico 47 di Via Rialto, a Rovereto, si abbassarono per l’ultima volta le saracinesche della bellissima libreria di Giorgio Boninsegna, nel cuore cittadino

Si era a fine settembre 2022 quando, al 47 di Via Rialto, si abbassarono per l’ultima volta le saracinesche della bellissima libreria di Giorgio Boninsegna, nel cuore cittadino. Negozio dall’antico assito chiacchierino, con le cariatidi di Depero a fare da Vestali, ma il fuoco vero, perennemente acceso, fatto di passione per i libri e per una città da cui si era anche allontanato per un certo tempo, era custodito da lui, da questo signore, superstite d’un tempo elegante e compassato ormai al tramonto. Boninsegna se ne stava lì dentro tutto il giorno, domeniche comprese, e senza voler fare necessariamente mercato, dando libri anche a credito, accogliendo clienti e passanti con lo stesso modo educato e generoso che ne faceva un roveretano d’altri tempi. All’improvviso però ha dovuto fare i conti con il tiratore scelto per antonomasia, ed ecco l’affrettata chiusura settembrina, conseguenza di un ictus. Andò bene e oggi Boninsegna lo possiamo incontrare a pochi metri dal suo territorio delle delizie (e rarità) letterarie che sceglieva personalmente, nel locale in cui ogni mattina fa colazione, dove la gente può tornare a incontrarlo per fare due chiacchiere assieme. Certo, la parola è più lenta e faticosa, ma la mente lucidissima resta, come poche, a illuminare le cose. «Conosco Giorgio da quando avevo 14 anni – dice Annalisa Galvagni de “Il forno di Pitagora” – sin da quando aveva il negozio d’abbigliamento in Via Mercerie. Anche per quell’esercizio era certosino nella ricerca di tessuti e abiti da proporre ai suoi clienti. Con il suo estro, la sua creatività, la sua voglia di cercare il bello, chissà dove sarebbe arrivato, se solo fosse vissuto in una grande città. Aveva un potenziale pazzesco».

Aveva anche grande consapevolezza del suo “voler esserci” per offrire un servizio elevato agli altri, grato verso una città che lo amava e che continua a farlo. Le stoffe, prima, ma ad attenderlo al varco erano le sue creature di carta. Colto, appassionato, espressione d’un modo civile di vivere sempre più raro, ha sempre portato bene il cognome medievale di chi è “segnato dal bene”. Mente acuta, intuitivo, conoscitore profondo non solo delle novità editoriali, ma anche dell’animo umano, sapeva indirizzare i suoi clienti fuori dalle vischiosità dei best sellers, verso scelte mai scontate, che a volte potevano sembrare stravaganti ma che puntualmente si rivelavano stimolanti. Dulcis in fundo, era celebre per quel suo dire: «Me lo pagherai se ti piacerà, altrimenti riportamelo”. Forse un gioco, o un piccolo test di personalità da parte di un astuto osservatore: ha sempre che nulla più dell’avere fiducia nel prossimo permette di crescere, e di capire.
Di quel suo paradiso incantato, tappezzato da migliaia di libri (più di 20 mila, tra cui andare a colpo sicuro), oggi restano le magliette-cult con la frase-insegna della libreria: «I Libri ed Io siamo qui!», mentre sui vetri, da due anni, occhieggia il suo saluto: «Crescere un figlio è faticoso, dopo 21 anni i miei libri possono camminare nel mondo da soli». Quella libreria, condensato d’affetto e di originalità «rimanda a un cammino di resistenza – come ha scritto Patrizia Belli – perché la vita dei librai indipendenti non è per nulla facile ma è stata perfetta per Giorgio che si è sempre trovato a combattere contro i mulini a vento e a essere 10 anni avanti a tutti».

Giorgio, lei è dovuto passare sotto le forche caudine, ma ha avuto al fianco tanti amici, perché questo succede a chi semina bene. Della sua libreria di cui sentiamo tutti la mancanza, sappiamo; ci racconta della sua giovinezza?
“Sono del 1947, classe di ferro. Da piccolo sono vissuto con la mia famiglia a Marco, a casa dei nonni, ma nel 1955 siamo andati ad abitare a Borgo Sacco, in Viale Vittoria”.

Un saccense, sia pure acquisito. E il percorso scolastico?

“Scuole medie a Rovereto, superiori a Trento per diplomarmi come perito elettronico, ma quella fu la scelta più sbagliata che potessi fare, così alla fine me ne andai a Milano a studiare alla Marangoni, la scuola di moda più famosa d’Italia, frequentata da modellisti e sarte. Era stata fondata nel ‘35 da Giulio Marangoni, un sarto molto noto dell’epoca. Oggi la si definirebbe scuola di “fashion design”.

Il suo nome, infatti, non è solo collegato al mondo dei libri, ma anche della moda. Sempre in centro storico, in Via Mercerie, aveva un negozio di abiti.
Sì, terminata la frequenza alla Marangoni, dopo un periodo alla Hilton di Calliano in cui mi occupavo di campionari e andavo nelle grandi aziende a scegliere i tessuti, sorta di tirocinio, aprii il mio primo negozio di moda. Lo chiamai con le mie iniziali, “G.B.”. Era a fianco della drogheria Micheli e l’ho gestito per 10 anni. Poi sono stato a Monaco, a Bologna, sempre a disegnare modelli e a preparare collezioni di moda uomo, mi assunse un grande negozio di Verona, nella centralissima Via Mazzini. Tre piani di moda, bellissimo. Ci sono stato più di 10 anni, preparando collezioni.

Come avvenne il salto dalle stoffe alla carta stampata?
Ho sempre amato moltissimo i libri, sin da piccolo, per me rappresentavano il regalo privilegiato. Quando, arrivato a 50 anni, mi chiesi cosa potessi ancora fare senza “piegarmi” a prendere ordini da qualcuno, mi venne naturale pensare a una libreria. L’ho chiamata “Io e i Libri siamo qui”, volevo fare capire che quello non doveva essere un asettico negozio in cui entrare, prendere, pagare e uscire. C’ero io, lì dentro, a disposizione anche solo per confrontarsi, scambiare pareri. L’ho condotta per 21 anni. Poi, un sabato, mentre la chiudevo sentivo di non stare bene. Il giorno dopo, al Pronto Soccorso, mi dissero che avevo subito un ictus. Non avevo mai fatto controlli in vita mia e, anche se non ho mai fumato o bevuto, l’ho pagata cara.
Si sono accorti subito tutti della sua assenza… lei apriva anche di domenica e quando le serrande erano abbassate era segno che era andato a caccia di novità.
Andavo tutte le settimane a Padova dai distributori per trovare libri adatti ai miei clienti. Per me era bello acquistare libri di autori non famosi, guidato dalle recensioni, ma soprattutto dalla conoscenza che avevo di chi frequentava la libreria.

Ci racconta un aneddoto?
Un giorno entrò una signora che riconobbi subito, era Michela Murgia, il mio cliente più famoso. Cercava il libro che doveva presentare a Trento. Quando le dissi che volevo omaggiarglielo lei insistette e mi lasciò i 10 euro come pre-pagamento per chi fosse entrato e non avesse avuto soldi: “Gli dica che è un regalo della Murgia”.

Secondo lei i libri hanno ancora un futuro?
Se uno sa fare bene il suo lavoro, i libri non scompariranno.

Ma oggi viviamo in una città in cui se sbagli bar trovi perfino chi si rifiuta di servirti il bicchierino d’acqua col caffè. Questo è fare bene il proprio lavoro?
La città è cambiata in peggio. Tanti negozi chiusi, anche per colpa dei negozianti, di domenica non sai dove andare a mangiare… Ma è bella, ci sto bene e conosco tutti.