L'intervista

mercoledì 3 Gennaio, 2024

Gios Bernardi, il medico illustre che compie 101 anni: «Cucino, guido e uso i social. Il mio segreto? Nessun vizio, ho pedalato tanto»

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Non ha mai fumato, mai bevuto in eccesso, donne non si dice… Una vita morigerata, insomma. Il medico si racconta

La carica dei 101. Gios Bernardi li ha raggiunti giusto ieri l’altro, essendo nato a Capodanno del 1923. Fosse venuto al mondo poche ore prima sarebbe finito a fare il soldato nel corso della seconda guerra mondiale. Nato con la camicia, si dice. Non solo ha superato i 101 anni ma, a parte qualche difficoltà nel camminare (peraltro va tutti i giorni a fare la spesa e si sforza di fare qualche passeggiata), il cervello è rimasto quello di un cinquantenne. Questione genetica, certamente, ma anche stile di vita: non ha mai fumato, mai bevuto in eccesso, donne non si dice… Una vita morigerata, insomma. Alla bella età che si ritrova («Quella dei giovani è una bella età») guida ancora l’automobile ed ha una vita completamente autonoma. Cucina e fa ginnastica. Certo, ci sono due figlie e un figlio che lo tengono d’occhio, magari da lontano, ma da quando Franca Rigoni lo ha lasciato vedovo, tre anni fa, vive in casa da solo. Padroneggia computer e tablet, smartphone e social come un ragazzino. Oltre che decano dei medici trentini, già presidente dell’ordine professionale per dieci anni; è stato a lungo presidente della Fondazione Pezcoller, il «Nobel» trentino dell’oncologia. Ha fatto pure l’assessore comunale di Trento e, in quella veste, ha fatto riaprire il teatro Sociale chiuso da anni. È anche un apprezzato fotografo ma da quando è dilagato l’uso e l’abuso del telefonino in sostituzione della pellicola, ha riposto la Rolleiflex, mitica fotocamera dagli scatti quadrati.
Eccolo Gios Bernardi, nella mattinata di ieri, mentre scende dalla vettura in centro storico, a Trento, per andare in farmacia e a fare la spesa. Con una pausa per il caffè con un amico cronista che lo ha fermato con la scusa di rinnovare gli auguri.

Come ci si sente con 101 anni sulle spalle?
«Come l’anno scorso, più o meno».

La salute come va?
«Sto abbastanza bene, a parte piccoli inconvenienti legati all’età. Qualche problema nella deambulazione».

Ma il cervello funziona a pieno regime.
«Abbastanza, anche se dimentico qualche nome».

Beato lei. C’è un segreto per tanta longevità?
«Ho pedalato parecchio, non ho fatto stravizi di alcun genere e questo non per sopravvivere ma perché non mi interessavano. Mai fumato, mangiato poco, ho cercato di praticare lo sport».

Lei probabilmente ha anche avuto la fortuna di scegliersi i genitori giusti.
«Beh, certo, la genetica aiuta. Mio papà, Carlo, è vissuto fino a 89 anni e quando è mancato, quarant’anni fa, era un’età piuttosto elevata».

La professione medica è stata una vocazione o un’imposizione?
«Avrei voluto fare l’avvocato, anche perché avevo due zii, piuttosto fuori dagli schemi ma molto in gamba…».

Anche molto di sinistra.
«Molto di sinistra, tant’è che furono parlamentari del Psiup, e molto atei».

Che in una famiglia, come quella di suo padre con 12 fratelli di cui uno (don Eugenio) prete in odore di santità è tutto dire.
«Tra i miei zii e zie c’era di tutto e di più. Il nonno, tra l’altro, molto devoto, teneva in via Verdi quella che era chiamata “la libreria dei preti”». Insomma, volevo fare l’avvocato ma mio papà ha insistito perché facessi il medico».

Per quale ragione?
«Siccome aveva paura delle malattie, probabilmente voleva avere un medico in famiglia… di pronta consultazione. Ad ogni modo ho sempre fatto la professione con passione. Studiata malamente perché c’era la guerra e frequentare l’università a Milano non era e non fu facile».

Andava agli esami approfittando del passaggio su un camion che dalla val di Non trasportava le mele in Lombardia.
«Proprio così. A Milano avevo un cugino che faceva il mio stesso percorso universitario (il dottor Marcello Bernardi, divenuto pediatra di chiara fama, ndr). Lui aveva frequentato il liceo a Milano ed aveva aperte tutte le porte. Io ero il paesano che scendeva in Lombardia sul cassone di un camion».

Laurea in medicina subito dopo la guerra e subito a fare pratica di chirurgia nella clinica del dottor Merler a «Villa Igea» di Trento.
«Ho fatto il chirurgo per alcuni anni e pare anche con discreto successo. Dopo che me n’ero andato a fare il medico-radiologo, Merler disse a qualcuno che gli dispiaceva che avessi abbandonato la sala operatoria perché promettevo bene. Ma a me non lo disse mai».

Perché non la trattenne per il camice?
«Perché aveva il figlio laureato in medicina, più giovane di me, e poteva sistemarlo al mio posto».

Questa sua lunga vita, non solo professionale, le ha dato grandi soddisfazioni par di capire.
«Dirò di sì. Ieri sono stato tempestato, piacevolmente di messaggi di auguri. Tra gli altri mi è arrivato questo: “… mi dispiace di arrivare solo oggi, ma abbiamo la casa piena e le ore volano. Aggiungo anche un grazie per quanto ha fatto per noi”».

Lei ha fatto prevalentemente il radiologo, senza grandi contatti con gli ammalati.
«Anche se la radiologia, specialmente oggi, non consente molti contatti personali io ho sempre tenuto a parlare con i pazienti, a stabilire con loro un legame di empatia».

È stato per dieci anni pure presidente dell’Ordine dei Medici della provincia di Trento. Oggi c’è carenza di sanitari. Colpa della politica e di mancata programmazione, certo, ma non avete anche voi medici anziani qualche responsabilità?
«Negli anni Ottanta nessuno ha pensato a progettare il futuro: né i medici né i politici. Poi la scelta di medicina comportava molti anni di studio e specializzazione e in quegli anni i diplomati/e preferivano altri corsi di laurea più brevi. Oggi par di intravedere un’inversione, ma ci vorranno anni per risolvere la carenza di medici».

Intanto avanza l’inverno demografico: 3.611 nati nel 2023, mille in meno rispetto a dieci anni fa.
«Sono molto preoccupato per la denatalità e al contempo per lo sviluppo della cosiddetta intelligenza artificiale. Sarà un aiuto in molti campi, medicina compresa. Ma a che prezzo: di libertà, di umanità, di empatia. Dirò che tutto questo mi inquieta molto».
Lunga vita a Gios Bernardi.