La storia
martedì 30 Aprile, 2024
di Marco Ranocchiari
Donare il proprio tempo in ambito sanitario e in particolare nel mondo dell’autismo crea felicità e qualità della vita. Ne è convinto Giovanni Coletti, imprenditore e presidente della Federazione Trentina Autismo, ospite il 27 maggio al Muse dell’incontro «Il dono del tempo per la salute» organizzato dalla Fondazione Pezcoller assieme a Lilt Trento, Muse e Csv Trentino.
Giovanni Coletti, ci racconta il percorso che l’ha portata a diventare un imprenditore di successo all’impegno nel campo dell’autismo?
«Ho costruito diverse aziende, ma da 40 anni mi sono accorto che il Trentino aveva bisogno anche di altro, una necessità che ho sentito anche con la nascita delle mie figlie autistiche: volevo, creare qualcosa anche per il loro futuro».
Una rete importante anche dal punto di vista numerico.
«Abbiamo quattro cooperative e la Fondazione, dalla quale è nata Casa Sebastiano, e attività imprenditoriali collegate con le associazioni di volontariato. Con 100 soci nella Fondazione e 2000 volontari che si sono succeduti negli anni, la nostra è ormai una grande forza»
Casa Sebastiano è una struttura d’eccellenza a livello italiano e non solo. Come funziona?
«Il tipo di intervento e la durata dipende dalle valutazioni cliniche che facciamo con l’equipe, non solo dal punto di vista sanitario ma con l’eventuale problematica famigliare, che vediamo con gli assistenti sociali. Non è casa Sebastiano a decidere chi entra ma l’Azienda Sanitaria. Il percorso può variare da giorni a qualche mese. Ma al cuore delle attività ci sono attività fatte con i volontari».
Per esempio?
«I ragazzi collaborano con un’azienda agricola, con Artexan, che stampa magliette, ricami, e al Birrificio 5+ di Mattarello, dove ci si occupa di vari passaggi, dal packaging all’imbottigliamento. Tutte attività che servono all’inserimento lavorativo».
Una delle eccellenze di Casa Sebastiano è la Stanza multisensoriale interattiva.
«L’idea è nata quasi per scherzo: a una fiera mi avevano colpito dei proiettori interattivi che reagivano ai movimenti delle persone. Così anche noi abbiamo creato la nostra stanza. All’inizio i ragazzi ci giocano, finché non riusciamo a capire che cosa li attrae di più. Poi gli educatori costruiscono un percorso di crescita insieme al ragazzo utilizzando la tecnologia. Oggi abbiamo 300 programmi per ogni bimbo, si spazia dal gioco alla crescita alla matematica alla cultura.».
Perché nel mondo dell’autismo il volontariato è essenziale?
«La patologia dell’autismo è una delle più difficili da trattare. Magari dal punto di vista sanitario le risposte ci sono, ma poi tutto il contesto sociale viene lasciato in mano alle famiglie. Il volontariato crea la capacità di copiare, anche dai giovani, dai cosiddetti normodotati, e gli crea la felicità e la qualità di vita. Il volontariato può sopperire a delle mancanze anche nelle attività della vita quotidiana come, non so, andare al mare. Prima di casa Sebastiano, questo tipo di attività era svolta da realtà che si rivolgevano a tutta la neurodiversità, ma è necessario ci siano strutture specializzate. Noi abbiamo creato le condizioni per cambiare, ma il cammino verso la consapevolezza è ancora lungo».
Del volontariato in ambito sanitario beneficiano solo gli utenti o ha ripercussioni più vaste?
«Ha ripercussioni molto più vaste. Un volontario è un megafono di comunicazione territoriale che aumenta la capacità e la voglia dei giovani di mettersi in gioco».
Non sempre si associa il volontariato al mondo dell’imprenditoria.
«Le mie aziende sono tenute a fare anche il bilancio sociale, dimostrando le loro attività a sostegno del volontariato. Questo crea una crescita culturale, oltre all’attività in sé, è anche un modo di crescita personale delle persone».
Quanto sono importanti gli incontri come quello del 27 maggio?
«Sono occasioni uniche per confrontarci, nei nostri ambiti diversi, e crescere tutti. Ma è tutto il Trentino ad avere capacità organizzative e di volontariatoi uniche Una giornata come questa ne è l’esempio».
Guardando al futuro, qual è la sfida più urgente?
«È necessario creare strutture per il “dopo di noi”. Sono moltissime le famiglie che ne hanno già la necessità, con la mancanza di un genitore. In prospettiva l’adulto autistico ha bisogno di strutture ben specializzate. E anche qui il volontariato fa la differenza».
Cosa le hanno lasciato quarant’anni di impegno sociale nel mondo dell’autismo?
«Mi hanno fatto crescere sia professionalmente che umanamente: le difficoltà servono a creare anche le condizioni di soddisfazione per quello che fai. Vorrei dire ai volontari: mettetevi in gioc, vi si aprirà il cuore, ed è bellissimo»
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