la campionessa
giovedì 21 Settembre, 2023
di Simone Casciano
Che rumore fa un soffitto di cristallo che si infrange? Forse quello delle mani che applaudono, e delle voci che esultano, delle centinaia di spettatori del Cinema Fulgor di Rimini che si sono alzati in piedi per acclamare Gloria Riggio, la nuova campionessa italiana di Poetry Slam. Gloria Riggio ha 23 anni, è nata e cresciuta ad Agrigento ma da ormai tre anni studia Lettere all’Università di Trento e proprio nel capoluogo trentino ha mosso i suoi primi passi nella poesia performativa grazie all’associazione Trento Poetry Slam. La sua vittoria rappresenta tante prime volte. La prima volta di una donna a laurearsi campionessa, la vincitrice più giovane e anche la prima a provenire da una regione del meridione. Non poteva esserci un palcoscenico migliore per celebrare questa novità, forse, del cinema riminese in cui un Fellini bambino aveva scoperto l’amore per il cinema.
Gloria Riggio che emozione è stata vincere le finali a Rimini?
«È stata un’emozione fortissima. Credo che ci sia stato un instante in cui, dopo aver sentito il mio nome, non è stata tanto la vittoria in sé a emozionarmi, ma il boato che arrivava dal pubblico. È stata quasi un’onda, un urlo collettivo che mi ha travolto, è stato molto forte. L’emozione della finale come evento in sé è stata quella di un duplice ascolto. In primis dei miei amici poeti. Ho avuto la fortuna di dividere il palco con artisti di grande talento. Penso a Serena Zerri che ha uno stile bellissimo, fatto di lunghi monologhi quasi in prosa e di una potenza deflagrante. Penso a Gabriele Retano (secondo classificato) una penna raffinata molto attento ai temi del meridione a me molto cari. Terzo si è classificato Amadeus Pinetti che ha uno stile che nasce dall’improvvisazione, così diverso dalla mia natura testuale e che per questo guardo con grande ammirazione, per non parlare della capacità di abitare il palco e incastrare i versi di Giuliano Logos. La seconda dimensione dell’emozione dell’ascolto è invece legata al pubblico. Le regole della finale ci imponevano di presentare brani inediti. Leggere produzioni nuove di fronte a un pubblico così attento e appassionato mi ha permesso di toccare con mano immediatamente l’effetto che suscitavano. Lo spazio del cinema è stato abitato non solo dalle parole dette dal poeta ma anche da quelle ascoltate dal pubblico. Una cosa straordinaria che dice molto di come l’arte sia connettore sociale, ma anche di come la poesia sia parola viva in cui ci identifichiamo insieme, creando uno spazio comune».
Lei è la prima donna a vincere.
«Sì, devo dire che negli ultimi anni il tema era stato molto dibattuto nel movimento. Ci si chiedeva come fosse possibile visto che le autrici di talento nel movimento non mancano. Sono molto felice che la mia vittoria possa aver settato un nuovo orizzonte di rappresentazione, è importante come tema. Mi spiego, il poetry slam, come altre forme di espressione, si è sviluppato a partire da figure maschili, parte della fatica delle donne a emergere è dovuto anche a questa mancanza di rappresentazione. Per questo è importante che ci siano figure femminili che rompano il proverbiale soffitto di cristallo. Sono e sarò molto felice se da questa rottura nascerà in nuove autrici e artiste la convinzione che in questo ambiente riceveranno lo spazio che meritano, se non dovranno nemmeno porsi il dubbio. Sono felice che la mia vittoria restituisca un ritratto più fedele della realtà del movimento: le autrici ci sono, sono tante e sono brave. Detto questo non si vince o si perde per questioni di genere, la selezione è durissima e la finale ha un livello altissimo. Lì si vince o si perde per questione davvero di poco perché sono tutti autori molto bravi. Però sono contenta che si sia sanata questa mancanza perché era sentita nel movimento».
Si è avvicinata al poetry slam da poco, ha bruciato le tappe?
«Sì e devo molto a Trento Poetry Slam. L’associazione è stato il luogo in cui mi sono avvicinata alla poesia performativa e dove, prima di iniziare a esibirmi, ho avuto la possibilità di sperimentare e organizzare eventi culturali sul territorio. Poi effettivamente la mia avventura nel poetry slam è iniziata a marzo 2022 e da allora è stato come un vortice che mi ha portato sul palco delle finali di quest’anno».
Quanto ha dovuto lavorare sulla dimensione orale della poesia?
«Nelle mie performance molto è sicuramente legato alla dimensione della voce, della gestualità e dell’espressività del viso. Mi rendo conto di usare poco il corpo. Ho provato a lavorarci, ma trovo che per me questa sia la dimensione equilibrata. Limitandomi, lascio spessore alla scrittura e ai temi. Così facendo do più spazio nella performance a ciò che per me è importante: il testo. Quando sono sul palco io mi dimentico di essere corpo e faccio di tutto per essere le parole del testo. Dopo la finale una persona mi ha detto: “Ho smesso di vederti, vedevo le parole che stavi dicendo” e quello è proprio il mio obiettivo. C’è una scelta dietro al minimalismo che porto sul palco, sparire per diventare parole».
La sua è una poesia che affronta i temi importanti della società.
«Si dice spesso che parlare con l’io lirico significhi raccontare quello che senti, mentre se si parla di temi ci si esponga meno. Per me non è così, parlare di violenza di genere, di morti bianche, di immigrazione è parlare di ciò che io sento importante e quindi direttamente di come mi sento rispetto alla società e a questo momento storico. Ciò che sento come individuo e ciò che provo come parte di una società coincidono. Questo non significa che le mie poesie di impegno le veda come una missione, le scrivo perché è ciò che mi fa bruciare, è quello che scalpita per essere scritto e detto. Anche perché se non c’è urgenza il pubblico se ne accorge. Non si può scrivere di un tema come fosse un compito, serve urgenza emotiva e ricerca attiva sul fenomeno. Fenomeni che così possono essere studiati come processi poetici, prima ancora che come processi politici».