La ricerca
martedì 31 Gennaio, 2023
di Redazione
C’è una netta distinzione tra paesi ad alto e a basso reddito nella convivenza con i grandi carnivori. Nei primi la maggior parte degli attacchi sono di tipo “difensivo” da parte degli animali e spesso frutto di comportamenti sbagliati da parte di residenti e visitatori dei parchi dove essi vivono. Nei paesi più poveri invece gli attacchi spesso si verificano durante attività di sostentamento come l’agricoltura, la pesca o il pascolo del bestiame.
Lo dice una nuova ricerca del Muse pubblicata su PLOS Biology. I ricercatori del museo hanno preso in considerazione più di 5000 casi di attacchi in tutto il mondo in un arco di tempo che va dal 1950 al 2019.
«Seppure si tratti di eventi molto rari, gli attacchi dei grandi carnivori alle persone rappresentano una delle sfide di conservazione e coesistenza più complesse – scrive il Muse in un comunicato –, in quanto possono influire, direttamente o indirettamente, anche sulla conservazione dei grandi carnivori stessi. Gli animali coinvolti in questi eventi, infatti, vengono spesso abbattuti o rimossi durante o dopo l’incidente. Inoltre, anche grazie all’attenzione mediatica che attirano, questi eventi possono influenzare drasticamente le attitudini delle persone nei confronti delle specie coinvolte. È quindi prioritario riuscire a ridurre questo tipo di incidenti e – a tal fine – risulta fondamentale acquisire conoscenze approfondite sulle dinamiche e sui fattori che possono aumentarne il rischio».
Tra gli animali presi in considerazione nello studio ci sono tigri, leoni, leopardi e anche orsi e lupi.
Proprio l’orso è il responsabile della maggior parte degli attacchi registrati in Europa ma, quello che dice la ricerca, è che spesso si tratti di aggressioni “difensive”.
«Gli attacchi avvenuti nelle aree cosiddette ad alto reddito scrive il Muse –, come ad esempio Europa e Nord America, si sono verificati più comunemente mentre le persone coinvolte stavano svolgendo attività ricreative, come escursionismo, campeggio o passeggiate con i cani, mentre quasi il 90% degli attacchi registrati nelle aree geografiche a basso reddito si è verificato durante attività di sostentamento come l’agricoltura, la pesca o il pascolo del bestiame».
Sulla base di questa analisi la ricercatrice Giulia Bombieri spiega che: «Felidi e canidi sono risultati i gruppi di specie maggiormente coinvolti in attacchi predatori, i più letali per le persone, mentre gli attacchi da parte di orsi sono quasi sempre difensivi, per esempio nei casi in cui questi vengono inavvertitamente sorpresi a distanza ravvicinata, oppure in difesa dei cuccioli o di fonti di cibo. La maggior parte degli attacchi mortali è stata registrata nei Paesi a basso reddito, nei quali si è verificata gran parte degli attacchi predatori da parte di grossi felidi come leoni e tigri».
Secondo autrici e autori, gli approcci per ridurre questo tipo di conflitti dovrebbero quindi essere adattati non solo alle specie, ma anche al contesto socioeconomico e ambientale in cui si opera.
«Appare chiaro – conclude il Muse nella nota – che nei Paesi ad alto reddito, dove la maggior parte delle interazioni con i grandi predatori avviene quando le persone entrano in aree frequentate dai grandi carnivori per svolgere attività ricreative e dove gli attacchi sono soprattutto una conseguenza di comportamenti inappropriati da parte delle persone, campagne di educazione rivolte a visitatori e residenti nelle aree con grandi carnivori sui comportamenti da adottare possono risultare efficaci per ridurre in maniera importante questo rischio.
Al contrario, nei Paesi a basso reddito, dove la coesistenza con i grandi carnivori è per lo più involontaria e obbligata, e gli attacchi di tipo predatorio sono più frequenti, le strategie per migliorare la coesistenza tra comunità locali e grandi predatori sono sicuramente più complesse e rappresentano una sfida importante».
Bibliografia:
Bombieri G, Penteriani V, Almasieh K, Ambarlı H, Ashrafzadeh MR, Das CS, et al. (2023) A worldwide perspective on large carnivore attacks on humans. PLoS Biol 21(1): e3001946. https://doi.org/10.1371/journal.pbio.3001946