La storia
giovedì 9 Novembre, 2023
di Alberto Folgheraiter
Silvano Rossi (1954) da Lisignago, trapiantato a Grumes, comune di Altavalle. Dal lunedì al venerdì fa il «rider», il volontario del cibo. Porta il pane e altre derrate agli anziani che vivono ai masi, sulla montagna di Grumes. Il sabato, giorno di riposo, lo sostituiscono altri volontari, tra questi Simone Santuari che è il presidente della Comunità territoriale della val di Cembra. Perché lo fanno?
Silvano Rossi risponde serafico: «Perché prima di tutto ho tempo libero. Poi è un servizio che, se ci tolgono anche la “botéga”, siamo alla canna del gas. Già siamo tagliati fuori dai servizi essenziali. Pertanto se c’è da dare una mano alla comunità lo faccio volentieri».
Gli ordini e la partenza
La consegna a domicilio si avvale di un furgone messo a disposizione dalla Famiglia Cooperativa di Cembra, filiale di Grumes. Mario Fortarel e le sue collaboratrici prendono nota delle richieste telefoniche che arrivano dai masi. Preparano le sporte o gli scatoloni con quanto richiesto. Verso le 9 del mattino arrivano i volontari e parte la consegna a domicilio.
«Non è una corsa contro il tempo», avverte Simone Santuari. «Perché capita di fermarsi a parlare o a raccogliere gli sfoghi di chi magari vive da solo. A un amministratore pubblico, il volontariato sociale serve anche a entrare dentro i problemi quotidiani della sua comunità».
I masi di Grumes
Oggi, sabato mattina, il «cahier de doléance» comincia con la protesta di un abitante dei primi masi sulla montagna: «Ci sono qui persone arrivate da fuori, con cesti e bastoni che battono i castagni e raccolgono il frutto del nostro lavoro. Certo, il castagneto lungo la strada è del comune, ma la pulizia e lo sfalcio dell’erba lo facciamo noi. Almeno chiedere. Se dici loro qualcosa si arrabbiano pure e ti minacciano».
I masi di Grumes sono casolari sparsi sulle pendici meridionali della Lasta di Belvedere (1558 metri) e sul versante sinistro della valle che separa Grumes da Valda.
Lo spopolamento della seconda metà del XX secolo ha portato la popolazione dai 309 abitanti del 1921 ai 69 del 1971. Oggi sono una quarantina. Aldo Gorfer, il cantore degli «eredi della solitudine» nelle terre dove «solo il vento bussa alla porta», ne tratteggiò l’agonia con pennellate intrise di speranza. I masi portano i nomi dei loro abitanti o indicano l’antico mestiere di qualcuno che li abitò in tempi remoti: Ferrai, Forni, Gaiardi, Giovanni, Grezzon, Orion, Pinteri, Pojeri, Rosa, Todescat.
L’inchiesta di Gorfer
Già ai tempi della sua inchiesta (1968) Aldo Gorfer notava che «altre frazioni sono morte e di esse non resta che il ricordo fisico anche se in via di rapido disfacimento. È il caso di Rella e di Roro, ai margini dei vigneti, che a ricordo d’uomo erano abitate da almeno 40 persone; oppure Larìo (casolari sparsi, sul fondovalle, nella valle del Rio dei Molini) dove risiedevano sei famiglie».
Il pane ai masi alti
Silvano Rossi porta il pane a una decina di famiglie, su ai masi alti. Lo fa per loro ma anche per tener viva “la botèga” che, diversamente, potrebbe fare la fine del negozio di Sover, dirimpetto, sull’altro versante della val di Cembra. Chiuso per il calo costante di clienti e l’aumento, inevitabile, delle spese.
«D’estate la popolazione dei masi aumenta, con l’arrivo di persone emigrate, originarie di qui, o di qualche turista. È un servizio che mi piace fare e lo faccio volentieri». Ancora, e qui lasciamo la parlata cembrana che rende meglio l’atmosfera: «Po’ ghé le me donéte, le me spèta, fén doi ciàcere e le è contente».
Regola ferrea: non accettare né caffè né un bicchiere «sennò sarìa già sota i cipressi, su live». E indica con la mano il cimitero accanto alla parrocchiale di S. Lucia.
Qualche volta accetta sei uova sennò, magari, «la Bepìna la se ofende».
Silvano Rossi ha cominciato a fare il «rider» nel 2018. Con il Covid e l’isolamento imposto dalla pandemia, il servizio è stato ampliato con l’aiuto di altri volontari. «Poi, certo, c’è sempre qualcuno che ha da criticare. Hanno messo in giro la bufala che sono pagato per questo servizio. E sono quelli che mai si sognerebbero di fare qualcosa gratis per la comunità».
Sulla porta della Famiglia Cooperativa un «immigrato» in val di Cembra. Silvio Laurettici, 77 anni, di Milano, è arrivato a Grumes «per sbaglio» nel 1964. Cercava le Dolomiti, che qui non c’erano. In contropartita c’era e c’è l’Avisio. Appassionato di pesca «mi sono innamorato dell’Avisio; poi della gente; infine di una ragazza del paese: Marialuisa Girardi». Per amore della quale ha fatto il pendolare tutte le settimane, per sette anni. Finché, nel 1983, l’ha portata all’altare. Due figlie, Giulia e Martina, entrambe laureate, per il momento impegnate nel bar centrale del paese.
Pina (101 anni) e la spesa
Caricato il furgone (oggi tocca a Simone Santuari provvedere alle consegne) si va dalla Pina Cristofori che vive in una bella casa poco sopra l’abitato. Ha 101 anni compiuti, qualche problema alle gambe ma una mente lucida e vivace. Seduta sulla porta di casa aspetta Simone con la spesa. «I volontari di Grumes sono più che bravi, sono bravissimi. Mi la matina telefono giò en Coprativa. Ghe digo: me serve sta roba. E i me la porta. E el pan lo stess, i me lo porta tuti i giorni anca se no ghe telefono». Vive da sola. Al piano superiore c’è la figlia con il marito, ma in questi giorni sono in Giappone.
Ai masi Orione Giovanni
Si va al maso Orion da Angelina Bortot, 85 anni, origini venete. Nel 1960 ha sposato Remo Pojer, conosciuto in Svizzera dove era emigrato come lei. Al maso Giovanni, 1.100 metri, Simone Santuari porta il pane a Fernanda Pojer, 81 anni, costretta su una carrozzina. Nella cucina di casa c’è pure il marito, Emilio Simeoni, 84 anni. «Siamo sempre stati qui ai Masi, ai Pintéri, chiamato el Mas del béghel. Nati qui, moriremo qui». Nella stufa, la legna scoppiettante rammenta un inverno precoce. Dalla finestra lo sguardo si perde sui monti di là dalla valle, tra Gaggio e Gresta di Segonzano. Ai Giovanni la demografia è in controtendenza. Ci sono cinque bambini ed è una festa. Una vigna, arrampicata sull’ultimo fabbricato prima del bosco, offre al passante grappoli neri dagli acini piccoli.
Ultima tappa: ai Gregioni
Il giro del pane finisce ai Gregioni, ai Masi bassi. Vi abita una decina di persone. Qualcuno fa il pendolare con Trento. Si passa vicino a quella che fu la scuola dei Masi, oggi ridotta ad abitazione privata. Fu fabbricata «a piovego», con il lavoro prestato dagli abitanti dei Masi. Restò in funzione, come pluriclasse, fino al 1967. Allora c’erano dieci scolari, 8 maschi e due femmine. La maestra Lina Pedot che accompagnava gli scolari verso la pubertà raccontò a chi scrive che un giorno fu annunciato l’arrivo per l’indomani del direttore didattico. Lei si incamminò di buon mattino verso la scuola, un’ora di arrampicata su una strada sterrata, quando fu raggiunta dalla vettura (una Fiat 600) del dirigente. Fece cenno di fermarsi, ma il superiore tirò dritto.
Quando, trafelata, arrivò sulla porta della scuola, il dirigente era lì che batteva nervosamente le dita sull’orologio. Come a dire: “Signorina maestra lei è in ritardo”. Ricordava la maestra Pedot: «Me son ciapà ‘na tal avelida, che quando l’è mort no ghò dit dré gnanca ‘na rèchia».
Morto il dirigente scolastico, senza il requiem della maestra, restano i Masi. Che continuano a vivere, grazie anche ai volontari del pane. Finché resisteranno, perché su altri servizi (posta, cassa rurale) meglio stendere un velo pietoso.
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