la storia

domenica 2 Febbraio, 2025

Guarì dal tumore dopo il pellegrinaggio, Vittorio Micheli: «Nessuna spiegazione scientifica. Io, miracolato a Lourdes»

di

La malattia progrediva velocemente e per evitare che l’arto si staccasse (la testa del femore era ridotta a una specie di poltiglia) i medici ingessarono tutta la parte sinistra del corpo. Poi la svolta

«La guarigione (di Vittorio Micheli) deve ritenersi un fatto straordinario, sia per il ripristino della funzione completa dell’arto che per la sua perfetta ricostruzione ossea». Poiché la Commissione medica afferma, inoltre, che «della guarigione di Vittorio Micheli non esiste allo stato attuale della scienza alcuna spiegazione possibile, invocata l’assistenza dello Spirito Santo, riteniamo doveroso segnalare il caso come degno di attenta considerazione. In questo intervento straordinario, infatti, strettamente connesso al contesto religioso di Lourdes, vi sono elementi sufficienti a riconoscere un intervento speciale della potenza di Dio creatore e padre».
Così l’arcivescovo di Trento, Alessandro Maria Gottardi (1912-2001), nel decreto firmato il 26 maggio 1976 con il quale riconosceva come «inspiegabile» alla luce delle conoscenze mediche una guarigione avvenuta nel 1963, dopo un viaggio a Lourdes. Per la Chiesa cattolica, quindi, «un miracolo».
E che la ricostruzione naturale di mezzo bacino e della testa del femore, «mangiati» da un osteosarcoma, fosse quanto meno straordinaria lo testimoniavano le numerose radiografie compiute prima e dopo quel viaggio-pellegrinaggio al santuario mariano dei Pirenei.
Il decreto dell’arcivescovo di Trento, letto a Lourdes la sera del 29 maggio 1976, davanti a 50 mila pellegrini, suscitò un boato di applausi. Si chiudeva in tal modo una vicenda cominciata nel 1962.
Sono passati esattamente 63 anni e il numero 63 ritorna come un mantra poiché la guarigione straordinaria di Vittorio Micheli fu rubricata come il «miracolo di Lourdes n. 63». Dopo di lui, altre guarigioni hanno stupito i credenti. Su oltre 7 mila casi esaminati, sono infatti 71 a oggi gli «eventi inspiegabili» per la scienza medica.
Racconta Vittorio Micheli: «Il 6 novembre del 1961 partii militare nel 7° Alpini e tutto andò bene fino a marzo dell’anno seguente. Dopo il Car ero stato trasferito a Feltre, nel bellunese, e lì cominciarono i dolori alla gamba sinistra. Poiché ero vicino a casa (i genitori abitavano a Scurelle, in Valsugana) non avevo mai “marcato visita” per la preoccupazione di essere spostato in un’altra città. Del resto si trattava di un male al momento sopportabile. Qualche settimana più tardi però fui mandato a Verona per un corso da infermiere. E lì i dolori divennero lancinanti. All’ospedale militare di Verona dove fui ricoverato mi dicevano che facevo finta di accusare dolori per scansare il servizio militare. Comunque mi curarono per una sospetta infiammazione del nervo sciatico. I dolori però anziché diminuire erano sempre più forti finché dopo una radiografia venne fuori la realtà».
Che cosa si evidenziò? «Tumore maligno di tipo sarcoma all’osso iliaco sinistro». Trasferito al centro tumori di Borgo Valsugana per un trattamento al cobalto, Vittorio Micheli fu dimesso dopo tre giorni perché dichiarato «non suscettibile di cure radianti». I successivi controlli radiografici accertarono la progressione del processo distruttivo dell’emi-bacino sinistro con la perdita di ogni connessione tra il femore e il bacino stesso. Tanto che l’alpino Micheli non riusciva più a muovere la gamba. Per evitare che l’arto si staccasse (la testa del femore era ridotta a una specie di poltiglia) i medici militari ingessarono tutta la parte sinistra del corpo.
«Nel maggio del 1963, un po’ per far piacere a mia mamma, un po’ per accontentare la suora dell’ospedale militare di Trento dove ero stato ricoverato, accettai di andare in pellegrinaggio a Lourdes. Tra l’altro ero ridotto alla più completa inappetenza anche perché il tumore aveva cominciato a intaccare l’intestino».
Con quale spirito partì per Lourdes? «A essere sincero devo dire che ero mosso principalmente dalla curiosità di vedere da vicino questo celebre santuario. Non andai per ottenere la grazia della guarigione: non ci pensavo proprio. Il 29 maggio del 1963 i barellieri mi aiutarono a scendere nella piscina accanto alla grotta di Massabielle. Non so dire che cosa provai: probabilmente nulla di straordinario. Ero uno dei 3 milioni di malati e di pellegrini che ogni anno vengono immersi in quella piscina. Ma qualche giorno dopo, tornato all’ospedale militare di Trento (di fronte alla casa di cura della Camilliane) avvertiti che qualcosa era cambiato. Stavo meglio, mi era tornato l‘appetito. Prima di andare a Lourdes avevo dei dolori insopportabili, tanto che andavo avanti con iniezioni di morfina. Tornato da Lourdes non furono più necessari né morfina né altri sedativi. A novembre, all’ospedale militare di Trento rifecero le radiografie e i medici mi dissero che avevano intravisto nuovamente la testa del femore. La cosa non aveva destato particolare interesse. Nel febbraio del 1964, poiché a Trento stavano per chiudere l’ospedale militare, prima di essere trasferito domandai una nuova ingessatura alla gamba. Rifatte le radiografie si scoprì il miracolo».
O quello che la scienza medica classifica come «evento inspiegabile». La ricostruzione del femore e dell’emibacino sinistro sarebbe passata sotto silenzio se un medico trentino, il dottor Augusto Frizzera, allora primario presso l’ospedale di Levico Terme non si fosse preso a cuore la vicenda. Raccolta tutta la documentazione medica, il sanitario presentò una relazione al «Bureau medical» di Lourdes, l’ufficio internazionale preposto all’esame delle asserzioni di guarigione da parte di devoti o pellegrini dopo essere stati al santuario dei Pirenei.
Cominciò così una trafila medico-scientifica davanti al «Comitato medico internazionale» (formato da scienziati credenti e non) durata dieci anni. Nel 1971 il Comitato medico internazionale di Lourdes dichiarò: «La malattia di Vittorio Micheli era reale, certa, incurabile. L’evoluzione del sarcoma da cui era affetto il Micheli è stata bruscamente modificata, quando non c’era alcuna tendenza al miglioramento, in occasione di un pellegrinaggio a Lourdes. La guarigione è effettiva. Non si può dare alcuna spiegazione medica di questa guarigione».
Quell’anno, Vittorio Micheli sposò Lidia Voltolini, un’infermiera dell’ospedale di Borgo Valsugana. Era venerdì 17 settembre 1971. Fu un matrimonio singolare. Subito dopo la messa, nella basilica di S. Maria a Trento, la coppia partì con un treno carico di pellegrini trentini alla volta di Lourdes: lui come «barelliere», lei quale «dama» a servizio dei malati. Si ritrovarono due giorni dopo, sull’Esplanade, la grande piazza davanti alla grotta dove, nel 1858, Bernadette Soubirous (1844-1879) dichiarò di aver visto la Madonna.
Passarono altri cinque anni prima del pronunciamento sull’evento inspiegabile.
Nel 1976 chiedemmo a Lidia, la moglie, che effetto le faceva avere un miracolato che girava per casa. «Quando l’ho conosciuto non sapevo nulla e lui non mi aveva rivelato niente. Vittorio è un uomo di poche parole. Fu un’amica a dirmi che il mio moroso era stato miracolato a Lourdes. Provai un brivido lungo la schiena ma poi mi dissi che, miracolato o no, era l’uomo a cui volevo bene. Il resto non contava».
Lidia Voltolini se ne è andata 17 anni fa. Vittorio Micheli oggi vive solo, in una casetta a Borgo Valsugana, seguito da un nipote che fa l’infermiere. Cammina ancora bene, senza bastone, ma esce poco. Giovedì 6 febbraio compie 85 anni. Auguri, caro amico. Di cuore.