L'intervista
mercoledì 16 Ottobre, 2024
di Claudio Ferlan
È uscito di recente per Laterza il nuovo libro di Guido Alfani, professore ordinario all’Università Bocconi di Milano. Si intitola «Come dèi fra gli uomini. Una storia dei ricchi in Occidente» ed è la traduzione dall’inglese di «As Gods Among Men: A History of the Rich in the West» (Princeton University Press, dicembre 2023), curata da Federico Lopiparo. Ad Alfani abbiamo chiesto di raccontarci qualche passo della storia evocata nel titolo del suo libro che verrà presentato domani 17 ottobre alle ore 17.30 presso la sede FBK di via Santa Croce 77.
Cominciamo dal tempo: la sua è una ricerca di lungo periodo, che spazia dal 1200 ai giorni nostri. Perché questi secoli?
«Il Medioevo è il momento in cui, in Occidente, ha inizio una seria riflessione sui ricchi. A partire dalla cosiddetta “rivoluzione commerciale” dell’XI e XII secolo, alcune famiglie non-nobili erano riuscite ad accumulare fortune molto superiori a quelle esistenti in precedenza. Nel XIII secolo molti teologi e pensatori osservarono questo cambiamento sociale, e lo condannarono. Non riuscirono ad arrestarlo, ma radicarono nella cultura occidentale un certo sospetto verso i ricchi, e soprattutto verso quanti si arricchiscono con la finanza, un sospetto che si è certamente indebolito nel tempo, ma in qualche forma perdura sino a oggi. Possiamo accorgercene, però, solo adottando uno sguardo di lungo periodo: quindi dobbiamo iniziare “almeno” attorno al 1200…».
Lo spazio, poi, con riferimento a una parte dell’Occidente evocato nel titolo. L’Italia, oggi, è un Paese per ricchi?
«Io direi che oggi l’Italia è un Paese abbastanza accogliente per i ricchi… Ma non è certo il Paese “dei” ricchi, nel senso che la ricchezza media netta degli Italiani è più bassa rispetto a quella della gran parte degli altri Paesi occidentali (si stimano 210.000 euro per abitante nel 2022 rispetto ai 296.000 della Francia o addirittura ai 650.000 della Svizzera), e anche per la relativa scarsità di super-ricchi. Secondo Forbes, nel 2024 solo due italiani rientravano nella lista dei 100 più ricchi al mondo».
Chi sono i ricchi e cos’è la ricchezza? Le risposte a queste domande sono cambiate nel tempo?
«Nei secoli, la composizione della ricchezza è molto cambiata. Nel Medioevo la terra ne era la componente principale. Oggi, invece, sono gli asset finanziari a dominare: nel 2020 costituivano il 45,5% della ricchezza privata dell’Europa continentale, e addirittura il 73,2% di quella degli Stati Uniti! Quindi definire la ricchezza nel tempo è complicato. È complicato anche definire i ricchi, ma qui possiamo applicare dei criteri costanti nei secoli, se consideriamo che i ricchi sono tali in relazione a tutti gli altri. Infatti, anche se le società occidentali contemporanee sono molto più “ricche” di quelle del passato perché quasi tutti i loro membri hanno accesso a molti più beni materiali, ogni società ha avuto i suoi ricchi e i suoi poveri. Io uso due definizioni di ricco: chi appartiene al 5% (o 1%) più benestante della popolazione, e chi ha ricchezza pari ad almeno 10 volte il livello mediano della società cui appartiene».
Come si diventa, come si rimane ricchi?
«Io identifico, nel corso della storia, tre percorsi verso la ricchezza particolarmente rilevanti: quello della nobiltà e dell’aristocrazia, quello dell’imprenditoria e dell’innovazione, e quello della finanza. Oggi, diventare ricchi con la finanza è molto più frequente rispetto a qualsiasi epoca passata. Potremmo immaginare che il percorso della nobiltà non sia più rilevante, ma se consideriamo in generale l’aristocrazia (che può essere un’aristocrazia del denaro, senza titoli nobiliari), dobbiamo rilevare che vi è una crescente preoccupazione per il grande ritorno della ricchezza ereditata. Oggi riteniamo che il modo più legittimo di arricchirsi sia l’imprenditorialità e l’innovazione, che porta a “costruire” ricchezza, ma il progressivo emergere di dinastie imprenditoriali conduce sempre a fasi di aristocratizzazione delle fortune di origini imprenditoriali, finché diventa difficile sostenere che chi le eredita sia ricco per “merito”».
Parliamo di tasse e di mecenatismo. La società si aspetta che chi ha di più restituisca qualcosa. Come succede ed è successo?
«I teologi medievali come Tommaso d’Aquino consideravano i “popolani” arricchiti una manica di peccatori: perché accumulavano beni, invece di usarli per aiutare i poveri? Ma dal Quattrocento, gli umanisti trovano ai ricchi un ruolo da svolgere nella società, e per tale via ottenere legittimità. Si trattava, in primo luogo, di essere disponibili ad aiutare le loro comunità in tempi di crisi, prestando denaro ai governi o lasciandosi tassare. I ricchi occidentali hanno adempiuto a tale ruolo sino al XX secolo, ma è molto dubbio che abbiano continuato a farlo nel corso delle crisi del XXI… Il secondo compito che fu assegnato ai ricchi è la magnificenza, ovvero “fare grandi cose”, di cui anche il mecenatismo fa parte. Idealmente, è un modo per trasformare le ricchezze private in una sorta di pubblico beneficio. Quindi, fondare chiese, monasteri, ospedali e biblioteche e poi farli decorare da grandi artisti…».
Quali sono le costanti nei rapporti tra ricchezza e politica? Ci sono specificità proprie del nostro tempo?
«Menzionavo prima la magnificenza: che è anche la rivendicazione “politica” di avere un diritto a governare… chi osservava la magnificenza di Cosimo de’ Medici a Firenze sapeva benissimo che tipo di scambio gli veniva offerto. Il che ci conduce al dibattito in corso su ciò che oggi chiamiamo “filantropia” o “giving”, che sembrano termini più neutri e (apposta?) occultano il possibile contraccambio – ad esempio, influenza sulla politica e sul policy-making. Sul rapporto tra ricchezza e politica mi limito ad aggiungere che, se parliamo di democrazia, dall’Atene classica alle città-stato “repubblicane” del tardo Medioevo alle moderne democrazie occidentali, la presenza di super-ricchi è sempre stata considerata potenzialmente problematica: da Aristotele a Piketty! Infatti, come possiamo aspettarci che un super-ricco che finanzia massicciamente una campagna elettorale, come sta facendo Elon Musk negli Stati Uniti, sia, come elettore, sullo stesso piano dei suoi concittadini? Si tratta, dicevo, di una preoccupazione di antica data. La specificità del nostro tempo è che siamo divenuti più tolleranti dei nostri padri e nonni dell’ingerenza diretta della grande ricchezza nella politica, in un contesto che rimane formalmente democratico ma forse tende a funzionare, in pratica, come una sorta di oligarchia del denaro. È un rischio su cui riflettere».