il reportage
domenica 27 Aprile, 2025
I funerali di Papa Francesco, dal silenzio alle sirene dei potenti. Sicurezza, Roma si trasforma
di Alberto Folgheraiter (inviato a Roma)
La «laudatio» è stata applaudita otto volte dalla folla, quando sono stati toccati i temi che più stavano a cuore al Pontefice: i migranti, i morti in mare, i diseredati e gli oppressi delle beatitudini

Converrà partire dalla fine, con papa Francesco che se ne va, in papamobile, verso l’ultimo approdo terreno. Accompagnato da due ali di folla, commossa. Al passaggio del corteo funebre lungo le vie del centro di Roma (poche vetture con la «famiglia pontificia»: le suore, l’infermiere personale, alcuni parenti arrivati dal Piemonte e dall’Argentina e una dozzina di cardinali) lacrime e applausi al pontefice «arrivato dalla fine del mondo». Dodici anni fa. E che si è fatto seppellire sull’Esquilino, lontano dal Vaticano, in una cappella della basilica di santa Maria Maggiore. La chiesa dove è venerata l’immagine della Madonna «Salus populi romani» della quale era particolarmente devoto, ma anche dove, la notte di Natale del 1538, Ignazio di Loyola, il fondatore del suo ordine religioso, i Gesuiti, disse messa per la prima volta. Sveglia all’alba per raccontare una Roma che non si vedeva dai tempi della pandemia. Deserta, come quella sera del venerdì santo del 2020 in cui papa Bergoglio attraversò claudicante e cupo piazza san Pietro sferzata dalla pioggia. Anche allora, accanto all’altare spoglio, l’immagine della «Salus populi romani» davanti alla quale, nel suo pontificato di «vescovo di Roma», si sarebbe recato 138 volte. Ieri, nella piazza San Pietro gremita di 50 mila devoti, con altri 150 mila stipati nelle vie adiacenti, 980 fra cardinali e vescovi, 4 mila preti e suore, e 140 delegazioni, tra presidenti re e regine e dignitari vari.
Vista dall’alto del colonnato del Bernini, tra quella marea di zuccotti rosso porpora par di intravedere uno zuccotto bianco. Il nome del quale sarà svelato tra una ventina di giorni, se va bene, dal balcone centrale della basilica di San Pietro. «Habemus Papam». Per il momento, come ha titolato argutamente il giornale francese «Liberation» appena martedì scorso, «Perdemus Papam». E quella perdita, attesa e al tempo stesso inaspettata, ha portato qui, nella vigilia della domenica in Albis (così chiamata perché si deponevano le vesti bianche della Pasqua) 400 mila persone, secondo il ministero dell’interno. Molti adolescenti, tra l’altro e che oggi celebrano il Giubileo a loro dedicato.
All’alba, si diceva. L’afflusso a San Pietro è cominciato alle 6, tra centinaia di militari (polizia, carabinieri, guardia di finanza, persino agenti della polizia penitenziaria e vigili urbani; pardon: Polizia Roma Capitale) che si davano il cambio dopo una notte passata a blindare strade e piazze lungo gli itinerari verso il Vaticano dei potenti della terra convenuti per il funerale. Alle 7.30 la piazza e mezza via della Conciliazione erano già piene. Alle 8 i primi ululati delle sirene, decine di vetture per scortare le personalità. Dapprima quelle di rango inferiore poi, coll’avvicinarsi delle 9.30, teste coronate, presidenti, capi di stato e di governo. Quelli maggiormente a rischio con scorte rinforzate. Sirene e velocità elevata pur senza apparenti ostacoli visto il presidio delle vie.
Van e vengono i Van dei potenti. Grigi come la pece, con i vetri oscurati. Ma perché così di fretta? «Lei mi legge nel pensiero», risponde un poliziotto in prossimità del ponte sul Tevere. «È giusto così, perché ci sono rischi di attentati», interviene un signore di 88 anni. Si chiama Eugenio. «Io ho lavorato in un apparato di sicurezza, in un’azienda aerospaziale statunitense. Mi rendo conto che questo fa parte delle misure di sicurezza per le personalità italiane e straniere. I pericoli di un attacco sono reali». Racconta di aver conosciuto papa Bergoglio nei due anni che ha trascorso, per lavoro, in Argentina: «Un uomo eccezionale. Viveva in un quartiere degradato come potrebbe essere Tor Bella Monaca qui a Roma».
Arrivato a Roma per il conclave straordinario seguito al «gran rifiuto» di papa Ratzinger, nella sua prima messa crismale come vescovo di Roma, la mattina del giovedì santo, era il 28 marzo 2013, disse ai «suoi preti» di «essere pastori con l’odore delle pecore». E alla parabola del «buon pastore» ha fatto riferimento all’omelia il cardinale Giovanni Battista Re, bresciano di Borno il quale, con i suoi 91 anni compiuti a fine gennaio, è il decano del Sacro Collegio (ne scriviamo in altra parte del giornale). Quel che qui preme rammentare è che nel corso dell’omelia, la «laudatio» di papa Francesco è stata applaudita otto volte dalla folla, quando ha parlato dei temi che più gli stavano a cuore: i migranti (e i morti in mare), i diseredati e gli oppressi delle beatitudini. Costruttore di ponti e non di muri. Sarebbe stato interessante vedere da vicino la prossemica di Tramp, Orban, Milei e altri campioni del sovranismo e dell’autoritarismo competitivo. Le telecamere della diretta televisiva, in quel momento non hanno inquadrato i loro volti.
Quando il coro ha intonato l’invocazione «In Paradisum deducant te Angeli», il vento che aveva sfogliato le pagine del Vangelo già al funerale di papa Woytjla, ha replicato l’evento. C’erano scritte parole di misericordia in contrasto con la cultura dello scarto.
Data sepoltura alla salma, oggi pomeriggio i cardinali renderanno omaggio alla tomba di Francesco in Santa Maria maggiore. Poi si parlerà di conclave.