Il caso
venerdì 5 Gennaio, 2024
di Redazione
Gestivano il Caffè 34 in piazza Duomo, che avevano trasformato in un luogo di spaccio. Arrestati nel marzo del 2022, condannati nel marzo del 2023, nello stesso anno aprono un altro bar: in via Belenzani, a cento metri da quello sul quale sono ancora appiccicati i sigilli di sequestro. Come hanno fatto? Intestando l’attività a parenti diretti o acquisiti, quando dietro al bancone del bar ci sono sempre loro. Che dopo via Belenzani, a fine dicembre, avrebbero preso in gestione anche il Line Café di via Verdi.
Ricapitoliamo i precedenti.
Una vasta operazione a livello nazionale, ha portato al sequestro di 21 chilogrammi di droga, ed alla chiusura del bar “34” nella centralissima piazza Duomo a Trento. Nel marzo del 2022 scatta l’operazione «continuo a spacciare» volta a smantellare un’associazione a delinquere per traffico internazionale di stupefacenti legata ai clan albanesi. In azione la Guardia di Finanza, che in tutta Italia ha portato ad indagare una vasta rete di soggetti, con 70 presunti narcotrafficanti, di cui 53 arrestati tra l’estero e l’Italia. La banda, ramificata a livello internazionale, aveva traffici tra il nord Italia e l’Austria: sono stati sequestrati oltre 21 chilogrammi di stupefacenti, tra hashish, eroina, cocaina e marijuana, per un valore totale di circa 2 milioni di euro.
La banda criminale, guidata da albanesi, nel Caffè 34 aveva trovato una base d’appoggio sicura: 4.000 euro proventi dello spaccio erano stati recuperati in un cestino del locale. I due proprietari furono arrestati e chiamati a rispondere anche dell’accusa di autoriciclaggio. Il processo si conclude a marzo del 2023 con le condanne. Anche per i gestori del Caffé 34, che viene confiscato.
I gestori non demordono e non si sono persi d’animo. Il pallino dei baristi non l’hanno abbandonato e appena è stato loro possibile hanno aperto nuovamente un bar. Sembra abbiano pagato sull’unghia il subentro alla pokeria di via Belenzani. Un subentro, però, effettuato attraverso una società intestata alla madre di uno di loro. Non si sa bene se perché non possano per eventuale sanzione accessoria di impossibilità alla titolarità di esercizi commerciali, sta di fatto che la Questura è intervenuta dicendo che nemmeno la madre dei condannati poteva aprire un bar. La motivazione addotta? «Ragioni di prevenzione dei reati».
Per aggirare il rifiuto della Questura, la società è stata intestata a una persona estranea alla famiglia e sopratutto alla vicenda giudiziaria. In ogni caso, seppur con la Questura che storce il naso. Dietro al bancone del bar di via Belenzani ci sono gli stessi che erano dietro al bancone del 34 in piazza Duomo. Un déjà-vu per chi passeggia in centro storico. E gli affari vanno bene, perché dopo pochi mesi ci sono i soldi per l’acquisto di un altro bar, questa volta in via Verdi. Sempre loro, o comunque gente di famiglia. Al Line Café la certificazione di inizio attività in subentro al precedente gestore è del dicembre scorso. E la nuova società sembra intestata alla moglie di uno dei condannati. Affari di famiglia, dunque, su cui l’amministrazione comunale potrebbe valutare di sollecitare nuovamente la Questura per un’opposizione all’apertura.
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