L’esperto
domenica 5 Novembre, 2023
di Simone Casciano
Il cambiamento climatico accelera e mostra tutta la sua drammaticità in maniera sempre più intensa e frequente. È un dato di fatto, incontrovertibile per gli scienziati ed evidente a chiunque in questo anno in Italia abbia fatto i conti con il caldo estremo dell’estate, con la siccità dell’inverno passato o con le alluvioni che sempre più spesso sconquassano il Centro e Nord Italia. Fenomeni che non solo stanno arrecando danni al nostro territorio, ma stanno facendo emergere anche disagi psichici finora inediti nella popolazione, in Italia come all’estero. Eco-ansia ormai non è solo un neologismo pop, da utilizzare in maniera generica per parlare della preoccupazione per le sorti del mondo, ma una vera e propria patologia di cui soffrono molte persone, specie giovani e giovanissimi. Ma ci sono anche nuovi fenomeni psicologici nati a causa del cambiamento climatico come la sindrome da stress pre-traumatico. Di tutto questo parlerà lunedì alle 18 a palazzo Piomarta a Rovereto, lo psichiatra Paolo Cianconi. L’esperto, che lavora da 23 per l’Asl Roma 1 e si occupa dello studio delle società complesse, delle loro trasformazioni e dei rischi connessi alla crisi climatica, sarà ospite di un evento dal titolo: Crisi climatica e salute mentale: quale relazione? Una tavola rotonda sul tema organizzata dall’associazione Clima3T.
Professore che rapporto c’è tra cambiamento climatico e salute mentale?
«Un rapporto profondo che indaghiamo nel libro: Cambiamento climatico e salute mentale. Dall’ecologia della mente alla mente ecologica. Pubblicato di recente e a cui ho lavorato con tre colleghi. Noi abbiamo studiato a fondo i rapporti tra le due cose, ma in Italia la consapevolezza sul cambiamento climatico è ancora bassa».
E dal libro cosa emerge?
«Mi faccia fare prima due premesse. La prima è che il cambiamento climatico è qui per restare e la natura è antropica. Non è una montatura, non è un’esagerazione e non è un complotto di chi vuole attentare alle nostre abitudini. È una cosa seria, forse la più seria degli ultimi 15mila anni. Se non cambiamo rotta, e non sembra che lo stiamo facendo, andiamo verso il collasso delle società complesse».
E la seconda premessa?
«Se vedete scienziati, politici o altro che negano il cambiamento climatico sono sul libro paga di qualcuno. Industria dei combustibili fossili, tessile, alimentari. Dipende dalla nazione in cui vivono e dagli interessi che proteggono, ma sono lì per produrre disinformazione e bloccare il cambiamento. Purtroppo sta funzionando, nonostante tutta la bibliografia scientifica mondiale ci dica a cosa stiamo andando incontro. Le chiacchiere stanno a zero».
Passiamo alla salute mentale.
«Non ci sono dubbi sugli effetti del cambiamento climatico, ma ci sono ancora degli effetti a lungo termine che non conosciamo. Di sicuro ci sono quelli legati ad aver vissuto eventi estremi e quelli legati alla situazione generale. Li osserviamo in tutto il mondo, anche in Italia».
In che senso legati a eventi estremi?
«Prendiamo l’esempio dell’Italia. Qui la maggior parte della popolazione vive ancora una sorta di perplessità stupefatta. Ossia di fronte a eventi come l’assenza di neve, la siccità o il caldo estremo pensa “passerà, è solo un momento”, rassicurata anche dalle parole dei politici che minimizzano. Ma chi ha vissuto direttamente il volto più drammatico di questi eventi atmosferici estremi, magari chi ha perso una persona cara, o ha vissuto un’alluvione e fa la conta dei danni, si trova a subire di disturbi acuti da stress e disturbo post-traumatico da stress. Ci sono poi le persone che non sono state colpiti direttamente dall’evento estremo, ma hanno capito che non si tratta di fenomeni unici e che ritorneranno sul loro territorio e che soffrono di disturbo pre-traumatico da stress. Si tratta di un fenomeno nuovo, che esperisce chi ha già subito gli effetti di eventi atmosferici estremi per due volte e teme il ritorno per la terza volta. Mi aspetto che a maggio 2024 ne soffriranno ancora più persone, quando si renderanno conto che li aspetta una nuova estate di caldo estremo che renderà invivibili le nostre città. Poi c’è un’altra cosa».
Cioè?
«Questa popolazione italiana che vive e andrà incontro a cambiamenti climatici radicali presenterà sintomatologie simili a quelle dei migranti. Questo perché pur non spostandosi è la loro terra a cambiare. Si ritrovano in un mondo sconosciuto anche rimanendo nelle loro città o campagne. Queste persone soffrono e soffriranno di quello che definiamo “Displacement” (termine inglese che intende sia spiazzamento che spaesamento). Si sentono cacciati via dalla loro terra pur senza muoversi»
E poi c’è l’eco-ansia?
«Si questa è stata osservata molto in Australia, ma anche in Canada e negli Usa. Anche in Italia è sempre più comune tra giovani (13-20 anni) e giovanissimi (9-13 anni). Ci sono due filoni di interpretazione. C’è chi pensa che l’eco ansia non sia una patologia ma solo un allarme che i giovani lanciano sulla situazione del mondo e sull’inerzia degli adulti. C’è chi pensa invece che si tratti di una vera e propria forma di ansia che, se non viene curata, può portare a depressione, lutti e disturbi psichici. La realtà è che l’eco-ansia è tutto e due le cose. Chiamiamola come voglia ma davvero è sia un allarme che una patologia. Davvero ci sono giovani che dicono che non vogliono fare figli o lavorare perché il mondo sta finendo».
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