Il caso
venerdì 27 Settembre, 2024
di Alberto Folgheraiter
«Accogliere è giustizia» titola il settimanale diocesano «Vita Trentina», annunciando per oggi l’apertura della «settimana per l’accoglienza» sul tema «T-essere comunità». Una lunga intervista del suo direttore, Diego Andreatta, al prete antimafia Giacomo Panizza, bresciano, che ha tenuto una relazione mercoledì sera al «Vigilianum» di via Endrici a Trento. All’interno del settimanale, due pagine, grandi titoli («Volontari non siate servi»), il calendario degli appuntamenti della settimana dell’accoglienza. Ma della vicenda che inquieta i cristiani non solo d’anagrafe, la cancellata che sta per essere collocata fra la chiesa e l’oratorio di S. Antonio a Trento, non si parla.
C’è imbarazzo. Il clero in cura d’anime, i parroci della città e della periferia si stanno interrogando su come si sarebbero comportati, su come avrebbero agito nei panni di Severino Vareschi, il parroco di S. Antonio finito, suo malgrado, in prima pagina. Il quale (vedi il-T di ieri e di mercoledì 25 settembre), esasperato dal bivacco di alcuni senzatetto e senza regole sotto il porticato dell’oratorio ha deciso di chiudere l’accesso con una cancellata di ferro.
Non c’è nessuno dei preti da noi contattati (una decina) che accetti di metterci la faccia, come si dice. Ma ciascuno, senza grandi distinguo, dice che la cancellata non l’avrebbe alzata, che avrebbe coinvolto in prima persona il vescovo e che avrebbe delegato tutto alle autorità civili: sindaco, questore, forze dell’ordine. Cosa che il parroco di S. Antonio, Vareschi, e il consiglio dell’oratorio hanno fatto. Peraltro, lasciando fuori dalla questione l’arcivescovo Tisi. Sull’altro versante, quello amministrativo, non resta che bussare al cancello del sindaco di Trento, Franco Ianeselli.
Che cosa pensa della decisione del parroco di S. Antonio di chiudere con un cancello l’accesso alla piazzetta dell’oratorio dove bivaccano alcuni senza tetto e senza fissa dimora?
«Negli ultimi mesi ho incontrato varie volte la comunità, i parrocchiani, don Severino. Sapevo della decisione di mettere un cancello. Ma so anche quanto don Severino abbia subito reazioni ingiustificabili. Ci sono stati episodi di violenza nei suoi confronti».
Pertanto fa bene ad alzare una palizzata?
«Mi rendo conto del simbolo che rappresenta tutto questo, però capisco la sua decisione. Rispetto alle persone che da mesi gravitano in Bolghera e creano disagi alla popolazione c’è una questione che riguarda l’ordinamento».
In che senso?
«Sono conosciuti, ci sono interventi più volte al giorno da parte delle forze dell’ordine. Quello che è complicato da comprendere, magari, per qualche cittadino, è che si deve agire secondo quanto prevede la legge».
Questa situazione non è colpa del sindaco, vuol dire.
«Interveniamo, vengono fatte segnalazioni all’autorità ma oltre non possiamo andare. Sono persone che prima di tutto avrebbero bisogno di un percorso di cura, ma in maniera coattiva l’ordinamento non lo consente. Lo permette solo in maniera volontaria e loro non vogliono».
D’accordo, ma il Comune che cosa ha fatto finora?
«In Bolghera ci sono persone che li evitano perché hanno paura e ci sono persone che con loro ci parlano. Come Comune, al di là della polizia locale, siamo pronti per una presa in carico. Ma non possiamo obbligarli se non vogliono, come è accaduto finora».
Chiaro. Ma il cancello sposta il problema di tre metri, non lo risolve. Pertanto il Comune che cosa farà nel momento in cui, anziché sotto l’oratorio, i senzatetto bivaccheranno sul marciapiede comunale?
«Il Comune continuerà con il presidio della polizia locale. Non è soltanto un presidio passivo perché dove c’è una ipotesi di reato viene fatta una segnalazione all’autorità giudiziaria. E poi i servizi sociali sono pronti a intervenire ma devono essere queste persone a consentire di essere aiutate».
Più che il cancello in sé, la decisione fa rumore perché adottata da un organismo parrocchiale che si ritiene depositario della missione all’accoglienza.
«È una decisione che non è stata presa a cuor leggero. Una scelta molto sofferta. So che c’è dibattito anche tra i parrocchiani, ma tutto discende da episodi di violenza che ci sono stati».
In Bolghera qualcuno sposta le responsabilità e le attribuisce a lei, al sindaco.
«Queste sono persone che esistono e non può essere un sindaco che decide di farle sparire con un “puf”!. Per qualcuno è un’idea ma non è una possibilità. Noi faremo tutto quanto possibile secondo quanto prevede la legge italiana. Detto anche che queste persone hanno bisogno di cure».
Come se ne potrà uscire?
«La risposta sta nei servizi e questo chiama in causa noi, come Comune, e il Serd (il servizio per le dipendenze). Ma in questo momento nessuno di loro vuol aderire ai servizi proposti. A tale proposito queste persone sono tutte dipendenti (da alcol o da droga) e stazionano in Bolghera anche perché lì vicino ci sono gli ambulatori del Serd».
Non è solo la parrocchia ad essere preoccupata per questa situazione.
«C’è una persona, in particolare, che spaventa tutti. E mi viene manifestata la preoccupazione anche di chi frequenta la farmacia, il supermercato, i locali pubblici di largo Medaglie d’oro. Loro sono persone che stanno male perché hanno tutti delle dipendenze. È molto difficile trovare una soluzione».
E non è solo la Bolghera a lamentare una difficile convivenza.
«In città abbiamo un aumento di queste persone con disagio psichico o di dipendenza. E credo che su questo debba intervenire anche il servizio sanitario. Perché sono dei rompiscatole infiniti ma sono un’umanità dolente».
Ha detto l’altra sera al sindaco Ianeselli, uno di costoro che staziona tra la chiesa di S. Antonio e l’oratorio: «Sono un barbone della Bolghera e merito rispetto. E comunque merito più attenzione di quella che tu riservi agli stranieri».