L'INTERVISTA
sabato 27 Aprile, 2024
di Adele Oriana Orlando
Per salvare il più possibile il pianeta sono necessari coraggio, preparazione e la consapevolezza che occorre accettare soluzioni di equilibrio. A spiegarlo è Dino Zardi, professore ordinario all’università di Trento per il settore scientifico disciplinare di Fisica per il sistema terra e il mezzo circumterrestre. Oltre a dare indicazioni su quello che si possa fare per salvare l’ambiente cerca di applicarle nella sua vita quotidiana quanto più possibile. Ognuno, però, deve portare il proprio contributo guardando al futuro, passando anche per scelte e investimenti.
Crede che per aiutare e proteggere il pianeta si debba fare una scelta vegetariana? Lei come si comporta?
«Non sono vegetariano, ma cerco di avere una dieta equilibrata, non necessariamente carne tutti i giorni, anche per ragioni di salute. Quando riesco, mi porto il pasto da casa. Non ritengo dobbiamo a tutti i costi pretendere che la gente diventi vegetariana per il clima. Ci possono essere altre motivazioni. Scegliere di mangiare qualcosa prodotto in zona può avere un impatto minore rispetto a un qualcos’altro importato da lontano. Le situazioni, perciò, vanno valutate caso per caso, non si possono fare delle generalizzazioni. Anche la scelta vegetariana va fatta con criterio. Se compro qualcosa che richiede di essere trasformato, o viene da lontano, per produrlo occorrono più acqua e più energia, quindi facilmente più emissioni di CO2».
Come vede la riduzione degli imballaggi?
«La riduzione degli imballaggi, a mio avviso, è stata una conquista, ma come anche quelle delle cinture di sicurezza, del divieto di fumo, della raccolta differenziata. Tutte situazioni in cui ci siamo “educati” non soltanto per virtù, ma perché una norma di legge ci ha “condizionato”. Può capitare la dimenticanza, ma il fatto che esiste la norma, ci condiziona ad allinearci con certi principi, che poi interiorizziamo. Se ci pensiamo, oramai nessuno di noi (o quasi ndr) si mette in macchina senza allacciare la cintura, ma non per paura di prendere la multa, ma perché ci si è resi conto che non è un grande sforzo, ma un grande vantaggio per la propria sicurezza. Le novità di questo tipo introducono un qualcosa che poi diventa consuetudine».
Nella quotidianità, secondo lei qual è l’obiettivo a cui tendere? L’utilizzo dei mezzi pubblici?
«L’obiettivo può essere quello, ma occorre fare una precisazione e non necessariamente ostracizzare la macchina; se per esempio uno fa car pooling, ha un senso utilizzarla, tutte le cose vanno fatte con un criterio. Sull’utilizzo dei trasporti pubblici, io ne sono un promotore, ma a Trento non è sempre semplice sceglierli. Per esempio, io vivo a Mattarello e lavoro a Mesiano, se dovessi utilizzare l’autobus per fare quei dieci chilometri, impiego quasi un’ora ad andare, e altrettanto a tornare. Io suggerirei di rivedere le reti pubbliche, di ripensarle. A Trento manca una linea circolare che colleghi le periferie. Se ci fosse, le zone più periferiche sarebbero più servite e attrattive. Ogni giorno qualche migliaio di persone, tra studenti e lavoratori, si spostano nella zona periurbana, se potessero farlo in tempi ragionevoli con il mezzo pubblico, lo preferirebbero. In molte altre città funziona in questo modo».
Ai suoi studenti cosa dice? Come vede i giovani in questo rapporto con il pianeta? Cosa pensa delle proteste?
«Ho una grande stima dei giovani, che tra l’altro sono sensibili alla tematica. Ci sono due questioni: la prima è che sono molto più esposti, perché attraverso il cellulare il mondo entra in casa loro e spesso, anche a causa dell’evoluzione digitale, diventa pericolosa. Basti pensare al potenziale di prodizione di fake mediante ’intelligenza artificiale. La seconda questione, invece, è quella della preparazione, dello studio. Per invertire la rotta servono queste due cose, insieme alle soluzioni concrete da proporre. Le proteste il venerdì mattina saltando la scuola, e chiedendo che altri trovino la soluzione non portano a molto. Per protesta bisognerebbe paradossalmente andare a scuola la domenica, per cercare una soluzione e proporla. Lo sappiamo, l’obiettivo è quello di ridurre le emissioni di CO2».
Come si può arrivare a questo obiettivo?
«Con la consapevolezza che ci sono delle soluzioni di equilibrio da accettare fra quello che è fattibile, senza imporre delle condizioni troppo gravose, come dover stare sul mezzo pubblico quattro ore al giorno per emettere di meno. Bisogna avere il coraggio di cambiare davvero le situazioni e imporle. Dobbiamo incentivare tutte le forme di approvvigionamento energetico che non prevedano l’utilizzo di combustibili fossili scegliendo, talvolta, quale sia il bene più importante da tutelare: il paesaggio o è il clima? Dobbiamo decidere, non sempre si può avere tutto».