L'intervista
giovedì 23 Maggio, 2024
di Donatello Baldo
La voce delle dimissioni dall’incarico di dirigente generale del Dipartimento salute giravano da un po’, e il T ne aveva dato conto in anteprima. Giancarlo Ruscitti, però, cercò di depistare con ironia, dicendo che sì, avrebbe cambiato lavoro, che sarebbe andato a fare il direttore sportivo della Roma: «Magari — dice ora — perché mi pagherebbero bene per quel ruolo». Ora il dg lascia per davvero il Trentino dopo cinque anni.
Cosa andrà a fare allora?
«Vedremo, intanto torno nella mia Venezia, poi sceglierò tra le tante proposte che mi stanno arrivando. Il mio lavoro è ancora richiesto».
Perché non ha detto subito che si stava per dimettere?
«Perché prima volevo ufficializzarlo con chi mi ha affidato l’incarico».
Il governatore Fugatti in persona.
«Avevo già accennato al presidente della mia intenzione di tornare a Venezia. Mi chiese di restare, e restai. Poi sono subentrati problemi personali e familiari e ho rinnovato la richiesta. E a quel punto Fugatti ha capito, pur rammaricandosi che non possa continuare il mio lavoro qui».
Senta Ruscitti, la voce sulle sue dimissioni si accompagnava anche alla voce di dissidi tra lei e il nuovo assessore alla sanità Mario Tonina. Cosa c’è di vero?
«Nulla, perché mi sono trovato bene sia con questa che con la precedente amministrazione, sia con l’assessora Stefania Segnana che con l’assessore Mario Tonina».
Lei è stato descritto come una sorta di vice-assessore quando l’assessora era Segnana.
«Ma no, io sono un tecnico che ha lavorato con il centrodestra e con il centrosinistra, proprio in qualità di tecnico. E il mio ruolo, con l’assessora Segnana, è stato quello di un dirigente che rispetta la posizione del vertice politico. L’ho fatto con lei come l’ho fatto in Puglia con Emiliano».
Durante il suo incarico come dirigente generale si è abbattuta anche sul Trentino la pandemia. Com’è stato quel periodo?
«Abbiamo passato i mesi, assieme al presidente, all’assessora, al capo della Protezione civile Raffaele De Col, a dare indicazioni alla popolazione, e la popolazione ci ascoltava, accettava le limitazioni, c’era una grande unità di intenti. Il Trentino era ed è una comunità unita».
Erano i giorni in cui si aspettava la sera per conoscere i dati, per la conta degli infetti e per il macabro bollettino dei decessi…
«Ecco, in quei giorni il mio lavoro era quello di mantenere il rapporto con il ministero, per avere dati aggiornati, e i miei rapporti costruiti in passato con l’allora ministro Roberto Speranza mi hanno aiutato. E i rapporti con Silvio Brusaferro, a capo del Comitato tecnico-scientifico, ci aiutavano a essere informati al meglio sulla situazione».
Ma non solo Covid, sono tanti i dossier a cui ha lavorato in questi anni.
«Poco prima del Covid, la decisione di istituire la Scuola di Medicina e di riorganizzare l’Azienda sanitaria. Poi il Pnrr, gli accreditamenti e tanto altro. Su tutto questo ho lavorato io, ma i risultati sono arrivati grazie al lavoro di collaboratori estremamente preparati che ho trovato all’interno del Dipartimento».
Ha gestito anche la partita del nuovo ospedale trentino.
«Certo. Prima la gestione del contenzioso con le imprese sul progetto passato, poi ho dato il mio contributo e il mio supporto sul nuovo progetto».
E si è dovuto scontrare anche con il tema dei Punti nascita. A che punto siamo?
«Siamo al punto che c’è una grande scarsità di professionisti che possano garantire l’esistenza di questi presidi. Ma ridurre ai Punti nascita il dibattito è sbagliato: in Trentino la donna incinta viene seguita nel corso di tutti i nove mesi, e anche dopo. Ed è seguita bene».
Rimane il fatto che i medici sono sempre meno disposti a fare i pediatri e gli anestesisti dove nascono pochi bambini, come nei Punti nascita di valle.
«Le criticità attuali devono essere affrontate con il dialogo sui territori, e l’assessore Tonina è impegnato proprio in questo. Ma non possiamo negare che le criticità ci siano, che la denatalità sia un problema anche in questo senso».
Dottor Ruscitti, se oggi si chiede a un trentino se la sanità sia migliorata o peggiorata, dice che è peggiorata. Di chi è la colpa?
«In questi 5 anni, nonostante il Covid, per tutti gli indicatori nazionali, pubblici o privati che siano, il Trentino è sempre sul podio. E anche per il gradimento dei servizi».
Nessun problema dunque?
«Come no, i problemi ci sono, a partire, come già anticipavo prima, dalla carenza di professionisti, che si scontra con un tema che sarà sempre più di attualità: l’invecchiamento della popolazione. Ora, con un finanziamento una tantum dello Stato, abbiamo recuperato le liste di attesa, ma ricordiamoci che ogni anno aumentano del 10% le richieste di prestazioni».
Come fare, dunque?
«Bisogna agire sulla prevenzione, primaria e secondaria. E anche su questo fronte la Provincia è già da tempo impegnata».
Ora se ne va, e dove andrà? A Fare cosa?
«Torno nella mia Venezia, dove sono Giancarlo e non il dirigente generale. Poi valuterò le offerte che mi stanno arrivando: ho la fortuna di essere ancora richiesto».
Lascerà il Trentino, un po’ le dispiace?
«Ho trovato una realtà stupenda, che mi ha accolto. Ho abitato in Val dei Mocheni in questi anni, e lì mi hanno voluto bene, ho trovato una comunità di persone generose».
Chissà se tornerà in Trentino…
«Forse anche per lavorare. Chi lo sa…».
Ma lei non va in pensione?
«Sono un medico, posso andare a 72 anni, altrimenti perdo alcuni i contributi. E poi ho ancora la testa e il fisico che reggono, non sono uno che aspetta di andare in pensione».
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