il fatto

mercoledì 30 Agosto, 2023

Il foreign fighter Bertolini: «Non so nemmeno sparare. Presto sarò papà»

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Il grestano di 29 anni nega di essere stato un mercenario e di aver combattuto, pagato, con i filorussi in Ucraina dove si è fatto una famiglia

«Il mio arresto è uno sbaglio, non c’è ragione per tenermi qui, in cella: non ho mai partecipato ad azioni violente, mai preso parte a combattimenti mentre mi trovavo in Donbass, detto che lì avevo la residenza». Dal carcere di Busto Arsizio (Varese) dove è detenuto da due mesi a questa parte, il grestano Alessandro Bertolini continua a ribadire di non aver combattuto, per giunta stipendiato, a fianco delle milizie filo-russe in territorio ucraino. Smentisce quindi di essere stato un «foreign fighter», un mercenario andato a combattere per diverso tempo nella regione del Donbass dove si trovava dal 2014 e dove, tra l’altro, si è fatto una famiglia. Da precisare che Donbass è la regione orientale dell’Ucraina in cui si sono autoproclamate le repubbliche di Donetsk e Luhansk, quelle che Putin ha riconosciuto come indipendenti. Per l’Ucraina si tratta di territori occupati: sono sostenuti militarmente e finanziariamente dalla Russia e governati dai separatisti filorussi dal 2014. Da allora si combatte una guerra che finora ha mietuto, solo in quell’area, migliaia e migliaia di vittime.
Udienza in tribunale a settembre
Il 29enne originario di Manzano, piccola frazione di Mori, arrestato il 29 giugno scorso a Malpensa dai carabinieri del Ros di Genova, appena sceso dall’aereo che lo aveva riportato in Italia, è determinato a scrollarsi di dosso la contestazione che ha avanzato nei suoi confronti il sostituto procuratore di Genova, Federico Manotti. Quella cioè di aver partecipato «ad azioni, preordinate e violente, dirette a mutare l’ordine costituzionale o a violare l’integrità territoriale del Governo ucraino, Stato estero di cui non era né cittadino né stabilmente residente, senza far parte delle forze armate di alcuna delle parti in conflitto». Così almeno stando alla Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo di Genova che lo ha indagato (assieme ad altri) e che lo ricercava fin dal 2013.
Bertolini dopo l’arresto, una volta davanti al giudice, si era trincerato dietro un muro di silenzio, avvalendosi della facoltà di non rispondere. Assistito dall’avvocato Massimiliano Luigi Scialla di Roma, è intenzionato a dimostrare la sua innocenza di fronte ai magistrati, nell’udienza che si terrà a settembre, in tribunale a Genova. Il suo legale sta lavorando alla difesa, raccogliendo una serie di elementi per riuscire a sgretolare l’accusa, per farlo quindi scarcerare, così che possa far rientro nel Roveretano, dal figlio di cinque anni e dalla moglie ucraina che presto lo renderà padre una seconda volta (la donna, che Bertolini aveva sposato in Ucraina nel 2020, si è infatti trasferita nel frattempo in Trentino con il primogenito). Detto che il gip ha già negato al 29enne la scarcerazione.
«È residente, non c’è reato»
«In aula dimostreremo che Bertolini non ha partecipato ad alcuna azione violenta, del resto non ve n’è prova nel corposo fascicolo di migliaia di pagine — fa sapere l’avvocato Scialla — Il reato comunque non può sussistere visto che il mio cliente, stando alla documentazione ottenuta dal Consolato generale della Russia a Genova, risulta essere residente da novembre 2017 a Donetsk. Il capo d’accusa prevede espressamente che Bertolini non sia residente, e proprio alla luce di questi documenti la contestazione viene meno». Il difensore chiarisce come il grestano sia in possesso del passaporto russo e dell’autoproclamata repubblica di Donetsk, oltre che di quello italiano appunto. «Bertolini viveva in modo stabile lì, tanto da diventare nel 2021 cittadino russo e da ottenere il passaporto, quindi il reato non sussiste — insiste il difensore — detto che lui, come residente stabile, avrebbe potuto anche partecipare alle azioni belliche, cosa che però non è avvenuta. Si era solo orientato per sostenere una delle due fazioni» spiega ancora l’avvocato Massimiliano Luigi Scialla che chiederà che il 29enne venga processato con il rito abbreviato (che in caso di condanna prevede lo sconto di un terzo della pena), condizionato all’acquisizione dei passaporti, della documentazione fornita dal consolato russo e all’audizione dello stesso indagato e della moglie di questi.
L’intervista in tv «romanzata»
Nel 2016 Bertolini, a Donbass, si era mostrato davanti alle telecamere della trasmissione Nemo di RaiDue, con in mano un fucile. Aveva raccontato delle sue simpatie di estrema destra, di come avesse «sempre sognato di fare il soldato sin da piccolo, e di non aver avuto alcuna possibilità, in Italia. Come ideali mi piaceva Forza Nuova — aveva detto — Anche i russi si avvicinano molto a loro per le idee. Quando la gente di sinistra viene qua, è smentita subito». Allora aveva spiegato di combattere per la Russia «perché è un Paese forte». In Italia «ci avevo provato ad arruolarmi ma non mi hanno mai chiamato — le sue parole in tv — le selezioni sono limitate. Qui invece non ho avuto problemi, mi chiamano fratello». Stando all’avvocato Scialla Bertolini, all’epoca poco più che ventenne, davanti alle telecamere «aveva romanzato la situazione ma non ha mai combattuto — assicura il legale — non sa nemmeno maneggiare un’arma, non è addestrato e bisogna essere qualificato per combattere, che sia suolo russo o ucraino. Le sue, anche quelle intercettate mentre era al telefono con il padre, sono parole in libertà che potevano far pensare che avesse preso parte ad azioni belliche ma non è così. È vero che i residenti possono essere mobilitati per la guerra ma questo non significa che vi prendano parte».