Il personaggio

domenica 25 Febbraio, 2024

Il giovane chef Chistè e la sua ricetta per il successo: “Disciplina, rigore, gerarchia”

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Daniele, classe 2001, ha già un lungo curriculum "stellato"

Questa storia parte da un sogno, quello di Daniele Chistè, classe 2001, originario di Zambana: un giovane aspirante chef che nella cucina ha trovato la sua ragione di vita, e questo lo ha portato a lavorare con alcuni tra i più grandi chef stellati del panorama italiano e internazionale.

Tutto partì dagli asparagi
Ambizione, la sua, partita da lontano: «Da piccolo mi sono affacciato al mondo del volontariato grazie a mio padre: con lui facevo servizio alla “Festa dell’asparago bianco di Zambana” dove è iniziata a maturare la mia passione e curiosità per l’alta cucina che ho trasformato in studio, e ora in lavoro».
«Nel 2017, all’età di soli 16 anni, Chistè inizia a fare le sue prime esperienze lavorative presso il ristorante-pizzeria «Da Pino» a Grumo San Michele. Nel frattempo, frequenta per tre anni l’Istituto alberghiero di Levico per poi frequentare il quarto anno a Roncegno».

Ristorante stellato
«Una volta terminati gli studi, inizia due anni di Alta Formazione a Tione, fra studio teorico e numerosi stage presso ristoranti stellati come Locanda Margon: al termine del percorso consegue una laurea breve come tecnico superiore della ristorazione: «La mia soddisfazione più grande l’ho avuta mentre stavo finendo di scrivere la tesi – racconta –. Mi avevano proposto una stagione al Nabucco, a Campiglio, dove avrei gestito lo spazio bollicine di Cantina Ferrari: ho accettato e sono riuscito sia a chiudere la stagione che a laurearmi: lì ho capito che sarebbe stato il mio lavoro».

Disciplina, rigore e gerarchia
«Ho sempre avuto questa grande fame di imparare e la voglia di crescere è ciò che mi muove sempre verso nuove sfide. I ritmi in cucina naturalmente sono intensi e c’è un concetto di sacrificio che è fondamentale: un discorso di disciplina e di rigore, ma anche di rispetto della gerarchia, perché dopo molte ore di lavoro quando entrano in gioco fattori come stanchezza e stress è proprio la gerarchia che aiuta a mantenere la concentrazione». Un ambiente che alle volte può essere duro, insomma, ma che soprattutto dà tante soddisfazioni: «Sicuramente, e poi bisogna dimostrare le proprie capacità, cercando di superare i propri limiti. Tutto questo non mi pesa, anzi, mi rende vivo: naturalmente bisogna anche trovare il modo di staccare la testa. Io ho imparato ad apprezzare i piccoli momenti, sperimentando così più verità nei rapporti».

La lezione di Niederkofler
Tra le varie esperienze Chistè lavora presso Norbert Niederkofler come commis dei secondi, gestendo la partita dei pesci: «Era il mio ristorante dei sogni, poi però ha chiuso, e volendo imparare la brace, mi sono spostato a Loreto a gestire i secondi di carne per lo chef Enrico Recanati. Lì ho trascorso quattro mesi, e poi sono ripartito».

Nel ristorante di chef Tortora
Attualmente Chistè sta lavorando presso chef Andrea Tortora: «Ci vuole passione, motivazione, e sicuramente avere un grande maestro alle spalle aiuta in questo e nel proprio percorso di crescita personale.
Per il futuro mi immagino all’estero: mi piacerebbe fare esperienze di cucina che mi permettano di conoscere nuove culture, viaggiando alla scoperta di nuovi sapori, ampliando il mio bagaglio professionale e di conoscenza. Mi piacerebbe lavorare con grandi nomi, farmi conoscere, imparando da maestri che possano trasmettermi i loro pensieri e le loro filosofie. Tengo sempre gli occhi piantati sull’obiettivo, che è alla base di tutte le esperienze fatte finora: andare in una cucina, assimilare tutto l’assimilabile e poi passare oltre e imparare ancora. Io non voglio provarci, voglio farcela, dimostrando di avere una grande passione e di valere».

«A Zambana mi riposo»
Daniele ci confessa che, quando capita di tornare a casa nella sua Zambana, cucina molto poco: «Per rilassarmi a volte mi alzo al mattino presto e faccio la pasta fresca, o i canederli con papà. Oppure affilo i miei coltelli per qualche ora: questo mi fa stare bene e mi permette di «ricentrarmi». È capitato di pensare che l’alta cucina non fosse la mia strada, ma poi i fatti mi hanno sempre smentito. Quello che voglio è e resta questo, anche per una questione di dedizione a sé stessi. Ho imparato che non c’è bisogno che qualcuno venga a dirmi “bravo”: con uno sguardo mi fanno capire che ce la sto facendo, e questo vale più di ogni cosa. È la benzina per il mio impegno».