editoria
sabato 19 Novembre, 2022
di Carlo Martinelli
Neanche a farlo apposta. Si decide di dedicare un po’ di spazio ai nuovi titoli di (Roberto) Keller editore ed ecco la scoperta. L’ultimo, appena pubblicato, è un po’ più speciale degli altri. Già: L’imperatore d’America di Martin Pollack è il duecentesimo titolo Keller. A ridirlo fa un po’ di effetto: 200 titoli. A confermare quel che il mondo editoriale italiano (e non solo: basterebbe vedere come viene accolto Roberto Keller — nella foto ritratto da Lucia Baldini — quando arriva a Francoforte, per la più grande fiera libraria del mondo) ha da tempo ratificato: la casa editrice di Rovereto è amatissima, tra le preferite tra quelle di qualità, sempre in prima fila nelle proposte delle librerie indipendenti, in particolare.
E a confermare, poi, quello che avanziamo come dubbio: il Trentino ha consapevolezza di avere in casa un giacimento culturale fatto di ricerca, di contatti, di autorevolezza, di capacità di essere cerniera dentro l’universo mitteleuropeo in particolare? Già il fatto di porla, la domanda, implica la risposta: no, come spesso accade nessuno è profeta in patria e così il fatto che Keller sia diventata l’unica casa editrice del Trentino (unitamente alla Erickson) di livello nazionale, resta sottotraccia, a queste latitudini. Intendiamoci: non sono i librai e i bibliotecari a non avere chiaro cosa è stato ed è il progetto editoriale e culturale di Roberto Keller.
Se ne è accorta, per fortuna, l’Università di Trento. Lo scorso anno l’editore è stato tra i protagonisti di un ciclo di seminari online sulla scrittura organizzati dal Dipartimento di lettere e filosofia e coordinati da Marco Gozzi e Adriana Paolini. A Keller è stato chiesto di intervenire sullo Sguardo dell’editore dal manoscritto alla libreria. Ovvero: come si pubblica un libro? Dal concepimento dell’idea fino alla realizzazione del prodotto è infatti necessario prendere in considerazione aspetti sia formali sia di contenuto, tenendo conto dei lettori ma anche del mercato. Senza dimenticare che in una casa editrice si lavora fianco a fianco con autori e traduttori in un processo continuo di revisioni e confronti. In un piccolo oggetto c’è un grande lavoro di squadra e il concorso di molti saperi. Questo, in estrema sintesi, il succo del suo intervento, che il curioso può trovare, integrale, su YouTube.
E pensare che nel 2009 il grande entusiasmo — e la fatica spesso debordante: ore e ore di contatti con autori, editori stranieri, traduttori, a correggere bozze, ad inventare copertine, a pianificare la comunicazione — sembrava non bastasse a far decollare la casa editrice.
«C’è stato un momento — dirà Roberto Keller — in cui mi sono reso conto che le imprese cavalleresche impossibili dei poemi cinquecenteschi e la gestione di una casa editrice avevano in comune la necessità di una dedizione totale».
Succede però che la dedizione, anche quella di chi ama i libri, è ricca di sorprese. Anche se tutto poteva immaginare Roberto Keller tranne che di scoprire, nell’ottobre 2009, che una «sua» autrice, la rumena di lingua tedesca Herta Müller, aveva vinto il Premio Nobel per la letteratura. Lo apprese da concitate telefonate di amici mentre, alla guida del furgone che per anni lo ha accompagnato in giro per l’Italia, si stava recando a una fiera del libro in Toscana.
È la svolta. Il paese delle prugne verdi, di cui aveva acquistato i diritti e che era stato pubblicato l’anno prima, tra l’indifferenza quasi generale, diventa un best seller. Vende quarantacinquemila copie ed è l’ossigeno che da quel momento in poi gli permetterà — non certo senza ulteriori affanni, non è che gli italiani si strappino di mano libri e giornali, è risaputo — di pianificare con più serenità le uscite delle tre collane in cui è strutturata l’offerta. Vie e Passi, la letteratura da varie nazioni straniere, Razione K, dedicata al reportage narrativo tra giornalismo, letteratura di viaggio e approfondimento e K Essay che si occupa di saggistica internazionale tra storia, scienza, filosofia, pensiero.
Eravamo arrivati al 2009, l’anno del Nobel. Aperta parentesi: i diritti dei successivi libri di Herta
Müller andranno a grandi case editrici con le quali, a livello economico, non si può competere. Ma, arrivano tutte dopo…
Intanto la casa editrice ottiene il Premio Speciale Città di Fiesole e nel 2015 arriva una sorta di «Nobel di casa nostra» ritagliato su misura per Roberto Keller. È il premio Lo Straniero assegnato dalla rivista fondata da un gigante della critica e della saggistica italiana, Goffredo Fofi. La motivazione recita: «Roberto Keller ha fondato a Rovereto nel 2005 una delle imprese più interessanti del nostro panorama editoriale, scegliendo come campo d’azione quello appassionante, perseguito con generosa curiosità e intelligenza insieme ai suoi collaboratori, delle letterature poco esplorate dall’editoria maggiore, europee e non solo, e delle letterature di confine. Gli dobbiamo molte felici scoperte».
Già: il fiuto di Roberto Keller, affinato fors’anche da quell’andare per montagne che è la sua grande passione. Nelle sua camminate in quota, lontano dal rumore di fondo delle civiltà chiacchieranti a valle, elabora, congettura, progetta, sceglie, decide. Gli si è affiancato un team di collaboratori e ancor più di traduttori: per una casa editrice italiana che pubblica praticamente solo autori stranieri, una presenza vitale, decisiva. Per arrivare a quei libri di qualità, sia nei contenuti che nella forma, caratterizzati da un attento lavoro di redazione, grafica e confezione.
«La linea editoriale — sottolinea Roberto Keller — è costruita attorno a titoli che trasmettono idee forti, capaci di percorrere e comunicare, nei temi e nella scrittura, la complessità del mondo. Scritture e libri “obliqui” che portano con sé i mondi da cui provengono e in qualche modo li contaminano con il nostro, sanno coinvolgere e far riflettere senza allontanarsi dal piacere della narrazione».
Lo sguardo a quei territori di confine che raccolgono microcosmi inaspettati, all’interno del mondo frastagliato e ancora poco conosciuto dell’ex impero austroungarico (la quale cosa dalle nostre parti, invero, qualcosa dovrebbe pur dire) e, al di là di quello, del mondo ex-sovietico.
Ancora Keller: «Le realtà culturali sono molto più numerose di quelle nazionali. Anche in Italia si parla italiano, tedesco, sloveno, francese… È un panorama molto interessante e che rende unica l’Europa rispetto ad altre regioni e altre letterature».
Una unicità che ha fatto conoscere in Italia autori come il tedesco Clemens Meyer o il francese Sorj Chalandon e maestri del reportage narrativo. Tra questi, e siamo alle recenti novità, proprio il «titolo 200» di Martin Pollack, nella traduzione di Enrico Arosio. Le vicende dell’emigrazione verso l’America dalla Galizia, all’inizio del Novecento. Contadini, artigiani, venditori ambulanti, pensatori ebrei anticonformisti: tutti si mossero alla ricerca di un futuro migliore nella ferma convinzione che «l’Imperatore d’America» li avrebbe accolti a braccia aperte.
Altra novità: La marescialla (traduzione di Domenico Mugnolo) della svizzera Zora del Buono. Finita la prima guerra mondiale, la ragazza slovena Zora incontra il ventitreenne Pietro Del Buono. Inizia una vita insieme che attraverserà tutto il Novecento da nord a sud in un vortice vitale in cui saga famigliare e storia si intrecciano, e dove non mancano amore, lotte, misteri. Il romanzo di un secolo, hanno scritto i critici in Germania.
Alex Capus, uno degli autori di lingua tedesca più amati, firma invece I figli del re (traduzione di Lucia Ferrantini). Max e Tina rimangono bloccati dalla neve sulla strada di un passo alpino e devono trascorrere la notte in macchina. In attesa del mattino, Max racconta una storia che risale a qualche secolo prima e che inizia proprio in montagna. Sono gli ultimi decenni del Settecento, con un pastore della regione alpina che finisce nella Francia della Rivoluzione.
Infine un reportage pieno di umanità e colore, divertente e illuminante, L’Iran dietro le porte chiuse. Stephan Orth, autore e giornalista pluripremiato, ci porta (traduzione di Melissa Maggioni) in un Iran affascinante, pieno di storia e atmosfera, spesso frainteso e ancora raramente visitato dai viaggiatori occidentali. Si muove per oltre novemila chilometri, trascorre sessantadue giorni in questa misteriosa repubblica islamica per regalarci un angolo visuale inedito e rivelatore di ciò che accade dietro le quinte di una delle società più chiuse del mondo.