Il racconto

venerdì 27 Settembre, 2024

Il miglior barman d’Italia è di Varone e si chiama Michele Filip: «Sogno di aprire un locale a Riva»

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Diplomato all'alberghiero, classificatosi undicesimo barista al mondo, ora lavora a Roma. L’obiettivo del ventiseienne è tornare a lavorare sul Garda

Sogni, speranza e duro lavoro sono i tre fattori che hanno contraddistinto la storia di Michele Filip, il più giovane di sempre ad essere eletto miglior barman d’Italia. Arrivato sulle sponde del lago nel 2013, dove ha frequentato l’alberghiero di Varone, il classe 1998 vive a Roma, lavora nel 33° bar più importante al mondo ed è ad oggi tra i profili di maggior rilievo all’interno del settore del bar industry.
Filip, lei ha vinto il premio come miglior barman d’Italia. Che emozione è stata?
«Vincere la World class, la gara più importante per quanto riguarda il mondo del bar, è stato una grandissima soddisfazione. È una competizione che in parte riesce a svoltarti la vita. In Italia nessuno è riuscito a vincere alla prima partecipazione, mentre nel mondo nessuno è mai riuscito a vincere alla mia età. Il bello di questi titoli è che ti permettono di entrare in una sorta di hall of fame»
E come funziona?
«Vengono selezionate 24 in tutta Italia. La competizione prevede diverse gare in cui si parte da una ricetta. Dovevamo spiegare i dettagli del nostro drink, tra cui ingredienti e il concetto che ci stava dietro. Io avevo la volontà di portare un po’ di Trentino con un drink che si ispirava al mio percorso in regione. Ho preso il concetto “fortuna e virtù” di Machiavelli, con lui che vedeva la fortuna come un fiume. Se in questo fiume l’uomo è abbastanza bravo e intelligente per creare degli argini, allora riesce a controllare il flusso dell’acqua evitando possibili disastri. Il mio drink comprendeva frutti di sant’Orsola, mieli thun e tanqueray ten»
Vittoria che le ha permesso di partecipare ai mondiali…
«Chi vince il “World Class”, che si tiene in tutti i Paesi, si qualifica ai mondiali. Io ho rappresentato l’Italia in Brasile, a San Paolo. In Sudamerica ho dovuto affrontare diverse sfide contro altri 56 partecipanti. Sono arrivato 11° a due punti dai migliori dieci, un grande risultato anche se sono stato abbastanza sfortunato perché il giorno della prima gara mi hanno rubato tutte le mie preparazioni, cosa che mi ha obbligato a improvvisare molto. Nonostante ciò ho un bellissimo ricordo, è stata davvero un’esperienza importante. Con il passare delle sfide sempre più persone si sono interessate a quello che facevo e durante le varie gare avevo un pubblico importante che mi seguiva. C’era una bella atmosfera»
I sui studi a Varone hanno influenzato il suo percorso?
«Sono 12 anni che faccio questo lavoro. Ogni volta che posso tendo sempre a parlare del mio percorso di studi. Non posso sapere come sarebbe andata se non avessi seguito il percorso scolastico all’alberghiera di Varone, so solo che ho frequentato una scuola estremamente seria, professionale e focalizzata sulla formazione dei propri studenti. Vedere questo tipo di trattamento riflesso su dei ragazzi di 14 anni mi ha fatto prendere il lavoro molto seriamente. Non era una scuola in cui andavi giusto per trovarti un’occupazione e svoltare la giornata, si pensava più in grande. Tra i miei insegnanti ho avuto la fortuna di avere Nadia Torresani, una professoressa con un carisma e una capacità incredibile nel trasmettere la passione per questo lavoro. A lei devo davvero tanto e il merito dei miei risultati sono in parte anche suoi. È stata una delle prime a vedere qualcosa in me, dandomi una libertà incredibile. La scuola offre possibilità formative importanti»
Ha avuto qualche esperienza lavorativa nell’Alto Garda?
«Ho lavorato al Rivabar da Leonardo Veronesi, un mio mentore. Quando l’ho conosciuto non avevo idea di cosa ci fosse dietro al mondo del bar o dietro a un semplice spritz. La mia grande fortuna è stata quella di fare la prima grande esperienza in un posto così serio che mi ha permesso di entrare a contatto con questo lavoro»
E cosa rappresenta ad oggi il bar per lei?
«È un posto bellissimo e credo sia sbagliato dare una definizione esatta perché ognuno vive il bar come preferisce. Se entri nel posto giusto, in grado di portare avanti valori legati alla storia di questi spazi, hai la possibilità di spogliarti di tutti i tuoi doveri e di tutte le situazioni frenetiche. Puoi sederti e parlare senza essere giudicato. Il bar è accoglienza, è un sorriso, è l’ospitalità, è capire come stanno le persone, è sapere risolvere problemi tecnici, idraulici, è un posto che comprende davvero tante cose. Per me oggi è la massima espressione di libertà»
Cosa fa attualmente?
«Negli ultimi anni ho vissuto in Irlanda, Germania e Svizzera, che sono Paesi dove ho imparato molto. Ora abito a Roma e lavoro da “Freni e Frizioni”, un cocktail bar che nasce da un’ex officina meccanica. Secondo il “50 Best Bar” il nostro è il 33° miglior bar al mondo. Sinceramente non ho nemmeno le parole per descrivere quanto sia bello lavorare qui, è un’insieme di emozioni incredibili. Spesso vengo chiamato dall’estero per i “Guest shift”, cioè quando i bar ti chiamano per essere loro ospite per una sera. Tu porti i tuoi drink e mostri quello che è il tuo modo di vedere il bar»
E quali sono gli obiettivi per il futuro?
«Ora voglio continuare a imparare e a migliorare. Nei prossimi due anni vorrei viaggiare il più possibile fino a quando non arriverà il momento di aprire un bar tutto mio».
A Riva?
«Non so ancora se aprirò il mio primo bar o il secondo a Riva, so solo che da quando ho messo piede lì mi sono detto “Prima o poi voglio avere un mio locale qui, sulla spiaggia”»