Innovazione
sabato 3 Dicembre, 2022
di Vittorina Fellin
A guardarlo è solo un lembo di terra tra l’Altipiano della Predaia e i primi paesini della Val di Non. Siamo alle porte di Coredo, in un piccolo appezzamento dove a brillare sotto il sole non sono le mele ma i vigneti. Qui lavora Nicola Biasi, quarant’anni appena, un curriculum da enologo, tanta esperienza e un vino che è ormai leggenda. Il primo da varietà resistenti in Italia a ricevere riconoscimenti importanti, il suo «Vin de la Neu» rispecchia il territorio e le esigenze di sostenibilità. Oggi, 3 dicembre, a Roma il giovane enologo si appresta a ricevere l’ennesimo riconoscimento, questa volta da «Bibenda», dopo aver già ricevuto i prestigiosi tre bicchieri del Gambero rosso, quale miglior giovane enologo d’Italia.
Si sente un ribelle a coltivare la vigna in un territorio come la Val di Non?
«No, perché non mi sto ribellando contro qualcosa: sto costruendo delle opportunità per il territorio. Qui la viticoltura non si è diffusa come dovrebbe perché sovrastata dalla produzione di mele, che costituisce una sorta di zona di comfort dove chi produce non deve impegnarsi negli aspetti commerciali delegati al Consorzio. Il vino, invece, è cambiamento e io ho cercato di assecondarlo rompendo gli schemi».
Come nasce un’etichetta «cult» in una zona non vocata alla viticoltura?
«Il Vin de la Neu nasce dal sogno di portare la viticoltura in alta quota, in una zona da tutti considerata sfavorevole. A Coredo ho trascorso le mie estati e le mie vacanze natalizie, qui c’è la casa che i miei nonni, rientrati dall’immigrazione in Australia, hanno costruito con grandi sforzi e qui voglio portare la mia vita e la mia attività. La sfida per me è stata piantare un vitigno nuovo per l’Italia (Johanniter) resistente alle malattie e che mi permettesse di fare una viticoltura realmente sostenibile».
Qual è il stato il percorso?
«Dopo aver completato gli studi come enologo ho maturato esperienze in varie cantine e all’estero, in Australia e in Sud Africa. Oggi viaggio tra Trentino, Toscana, Lazio, Veneto, Friuli e Georgia in qualità di consulente. Nel 2012 ho voluto piantare 990 metri quadrati di vigna davanti casa scegliendo un vitigno resistente che mi permettesse di fare pochissimi trattamenti. Erano anni in cui si parlava ancora poco di sostenibilità, ma la strada era ormai tracciata. Oggi ho fondato una rete di imprese, “Resistenti di Nicola Biasi”, composta da sei aziende agricole che operano in territori diversi tra Friuli, Veneto e Trentino».
Cosa significa Vin de la Neu?
«Quando il 12 ottobre 2013 vidi i grappoli sotto la neve, pensai che tutto fosse perduto. In mezzo alla neve abbiamo vendemmiato il mio primo raccolto e abbiamo battezzato il vino. Oggi ho registrato il marchio in Europa e negli Stati Uniti, A chi mi chiede spiegazioni sul prezzo (la bottiglia è venduta a 150 euro, ndr) rispondo che vendo una delle 941 bottiglie fatte a mille metri sulle Dolomiti mettendoci dentro tutta la mia determinazione».
Quali obiettivi per il futuro?
«La mia ambizione è far sì che la Val di Non sia conosciuta anche per i suoi vini bianchi. Ci sono ancora pochi produttori, non adeguatamente strutturati, ma qualcosa si sta muovendo. Sono stato recentemente contatto da un imprenditore che vorrebbe convertire dieci ettari di mele in vigneto, scegliendo appunto varietà resistenti. Se accadesse sarebbe il più grande vigneto da varietà resistenti d’Italia. È un momento storico perfetto per questa tipologia, perché abbiamo le opportunità e la libertà dei precursori. Oggi la scelta di un vitigno resistente è soprattutto una questione di etica in termini di sostenibilità».