il lutto

martedì 2 Luglio, 2024

Il mondo del basket dice addio a Maffi: «Educatore dal cuore grande»

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I funerali saranno celebrati oggi alle 14.30 nella chiesa di Rione Degasperi a Riva

C’è stato un tempo in cui il basket non esisteva. C’era la pallacanestro e nelle palestre insegnavano terzo tempo, cambio mano e tiro in sospensione. Poi anche in Italia, sdoganato dalla voce di Dan Peterson, è arrivato il circo dell’Nba con il seguito di porcherie come crossover, lay-up, jumper e backdoor. Altra storia e forse altro sport.
Pietro Massafra, Maffi per tutti noi che lo abbiamo conosciuto, è stato un testimone genuino di quella pallacanestro che parlava solo italiano. Tra un turno e l’altro alle Cartiere del Garda, dove faceva il mulettista, ha speso decenni della sua vita insegnando i fondamentali della palla a spicchi a bambini e giovanissimi cresciuti nel vivaio della Virtus. Ma soprattutto, Pietro ha insegnato alle tante generazioni che sono passate davanti ai suoi occhi i fondamentali di un altro sport, in molti luoghi ormai in via di estinzione: l’educazione.
La corporatura da Bud Spencer e i baffoni calzavano a pennello ad un uomo che era l’incarnazione dell’empatia. Era una persona semplice Maffi, senza sovrastrutture intellettuali, arrivava dritto al cuore dei suoi ragazzi con una battuta o un buffetto. Aveva un talento innato come educatore, la sua era una pedagogia che non nasceva dai libri, dalla teoria, tutt’altro: la sua psicologia con i ragazzi era istintiva, passava per uno sguardo corrucciato sotto i baffi, una risata, uno «shampo» assestato al momento giusto a chi usciva dai binari. Momenti che duravano il tempo di un cerino accesso, piccole tempeste scoppiate in un mare calmo.
Erano gli anni in cui la Virtus Riva fioriva ed ogni partita era una festa: i dopo-gara passavano sempre dalla gelateria De Pellegrin, dove il «pinguino» (il gelato ricoperto da una croccante crosta di cioccolato) era la novità più gettonata. Le trasferte, poi: si saliva sul Ford Transit con i fanali che sembravano gli occhioni di un bambino. Livrea rigorosamente rossa. Al volante c’era spesso lui, Maffi: più che l’allenatore, durante i viaggi faceva il capopopolo, galvanizzando la squadra con sistemi non proprio allineati alla più recente ortodossia educativa.
All’epoca Riva del Garda si sentiva davvero basket-city e guai a fare brutta figura su certi campi, compreso quello di via Fogazzaro, a Trento, dove giocavano gli «avi» dell’Aquila. Ma a Gardolo… No, allora a Gardolo non si poteva davvero buscarle. Una volta giocammo davvero da schifo, finendo sotto. Maffi viveva le partite con passionalità e con la voce rauca da fumatore incallito qual era sbraitava inutilmente dalla panchina: le sue parole sembravano dissolversi sulla linea di bordo campo. Invocava il «pugno», il leggendario schema a tutto campo, ma niente: più che un pugno i cinque in campo mollavano carezze (non ricambiate) agli avversari. Ad un certo punto chiamò time-out: «Adesso basta, non vi dico più niente». Detto e fatto. Si sedette in panchina a braccia incrociate e con il muso lungo, fissando per decine di minuti il il soffitto. Noi basiti e in autogestione. Ecco, questa era la sua pedagogia.
Pietro era un uomo generoso. Se passavi dalle parti del mitico bar Livio di viale Martiri, dove non era raro incrociarlo, una «spuma operaia» ci scappava sempre. Ma una volta ad inizio stagione Maffi la sparò davvero grossa: «Se vincete il campionato, vi porto a mangiare al San Marco». Bum. All’epoca il San Marco di viale Roma non era «un ristorante». Era «IL ristorante». Con l’articolo determinativo maiuscolo. Nell’immaginario di noi ragazzini, il luogo dove pochi eletti potevano permettersi di entrare. Quel campionato provinciale, all’epoca categoria Ragazzi, lo vincemmo davvero e Maffi, il 21 gennaio del 1988, mantenne la promessa: portò tutta la squadra a cena. Ci sembrava un sogno: noi nel ristorante più «figo» di Riva, con la moquette e la tappezzeria sui muri a rendere ancora più nobile quell’esperienza e il signor Paolo Zucchelli, elegantissimo, a servirci al tavolo.
Poi quei ragazzotti sono cresciuti e la pallacanestro è diventata una cosa un po’ più «seria» e selettiva. Non era più lui a bordo campo a guidare le quadre ai piani alti dei tornei giovanili, ma Maffi c’era comunque spesso come accompagnatore. E così negli spogliatoi asciugava qualche lacrima e accoglieva paternamente le sfuriate di chi si era sciroppato quasi 40 minuti di panchina. È stato interprete autentico dei valori che la Virtus Riva incarnava in quella fase storica: amicizia, divertimento e rispetto.
Un concentrato di umanità cristallina che ha amalgamato centinaia di giovani. Un’eredità ricchissima, che la scomparsa di Maffi non cancellerà.
Oggi alle 14.30 nella chiesa di Rione Degasperi l’ultimo saluto.