Montagna
domenica 30 Ottobre, 2022
di Redazione
Dal 1881 è riparo sicuro per gli alpinisti. L’ultimo gradino per la Bocca di Brenta, il dente di roccia, a 2.439 metri, da cui si dominano le Dolomiti trentine a 360 gradi. Dal prossimo anno, terminati i lavori di restyling a impatto zero, il rifugio Pedrotti alla Tosa diventerà il ‘faro’ della montagna. Tetto rosso e quattro finestre sempre illuminate nelle direzioni di altrettanti sentieri grazie a un impianto fotovoltaico da 20 kilowatt, il rifugio che ha resistito alla Grande Guerra sarà infatti l’unico dell’arco dolomitico a essere ristrutturato grazie a un concorso di idee ingegneristiche compatibili con ambiente e valore storico-culturale da preservare.
«Per anni abbiamo discusso se abbatterlo e rifarlo di sana pianta o mettere delle toppe — spiega Anna Facchini, presidente della Sat, che quest’anno compie 150 anni ed è proprietaria della struttura —. Alla fine abbiamo deciso di percorrere una strada tutta nuova: una gara di progettazione. Poteva sembrare un’idea bislacca, invece sono arrivati 60 elaborati che sono poi stati valutati dall’Ordine degli ingegneri e degli architetti di Trento. Ha vinto chi ha interpretato al meglio il ruolo del Pedrotti, punto di riferimento visivo per gli alpinisti e ‘perla’ delle Dolomiti. Adesso non c’è tempo da perdere. Entro fine anno il progetto definitivo, per un valore di 990mila euro, e poi i lavori nel 2023 con l’intenzione di non bloccare l’attività del rifugio».
Per il Pedrotti, ampliato nel 1910 dall’Alpenverein di Brema che ne rivendicò la proprietà per poi cederlo a denti stretti all’Italia al termine di un contenzioso davanti alla Corte suprema di Vienna, si apre dunque una nuova stagione destinata a scrivere un’altra pagina di storia delle Dolomiti. «La scelta del concorso di progettazione è stata coraggiosa – precisa Marco Giovanazzi, presidente dell’Ordine degli architetti -. Noi la invocavamo da anni, ma non era affatto scontato che si arrivasse a questa decisione. In altri contesti montani l’idea non ha mai trovato terreno fertile. Qui, grazie all’impegno della Sat, siamo riusciti a fare da apripista. La speranza è che la nostra esperienza possa intraprendere un percorso nazionale per far sì che i territori si interroghino sulla necessità non più rimandabile della trasformazione eco-compatibile delle strutture d’alta quota».