Istruzione

lunedì 2 Settembre, 2024

Il paradosso dell’Alto Adige: tre scuole, le “gabbie etniche” e il dilemma del bilinguismo

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La “classe separata” alla scuola primaria Goethe di Bolzano riapre un antico dibattito su come è strutturato il sistema dell’istruzione

Creare «classi speciali», separate dalle altre, nelle quali riunire i bambini che non parlano bene la lingua tedesca o non la parlano affatto. È questa la scelta della dirigente delle scuole primarie «Goethe» di Bolzano, Christina Holzer, annunciata dalle colonne del quotidiano Dolomiten — scatenando una polemica che da giorni infuoca la politica altoatesina, sino a valicare i confini provinciali. «Devo rendere possibile l’insegnamento, ma pure non svantaggiare i bambini di madrelingua tedesca», spiega Holzer. Una proposta, la sua, che ha ricevuto da un lato il plauso dell’Obmann della Svp Dieter Steger, dall’altro la condanna pressoché unanime del restante spettro politico, dai partner di governo della destra italiana sino a Verdi, Pd e Team K. Già prima delle elezioni provinciali si parlò dell’introduzione di colloqui obbligatori coi genitori, oltre a corsi estivi come «filtro» all’ondata di alunni provenienti da famiglie non di lingua tedesca.

Una provincia, tre scuole
Accade infatti in Sudtirolo che l’importanza di apprendere la cosiddetta «seconda lingua» — sancita ad esempio dall’obbligo del bilinguismo negli impieghi pubblici — possa confliggere (e non poco) con la rigida tutela della minoranza linguistica prevista dallo Statuto d’Autonomia, dove l’istruzione nella propria madrelingua rappresenta il pilastro forse più importante. Ma anche l’ostacolo a un incontro maggiore tra i gruppi linguistici italiano, tedesco e ladino, rigidamente incanalati in tre distinte scuole (e altrettante intendenze scolastiche). Secondo i Verdi, storici sostenitori del superamento delle «gabbie etniche», «anche se è previsto un altissimo numero di ore nella seconda lingua, i giovani escono dal ciclo scolastico pieni di vergogna e paura riguardo all’altra lingua», questo perché «scuole separate creano mondi separati. È ancora giusto salvaguardare la lingua di minoranza, ma da tempo il sistema scolastico così concepito non basta più, né riflette più l’esigenza del bilinguismo precoce. Purtroppo – concludono i Verdi – Svp e partner italiani restano ottusi e chiusi verso ogni richiesta di scuola plurilingue», concepita come un’opzione aggiuntiva e alternativa alle tre già esistenti.
Oggi, soprattutto nei grandi centri, molti genitori di lingua italiana iscrivono i propri figli alla scuola in lingua tedesca: lo fanno per facilitare l’apprendimento del tedesco, più difficile nella vita extra-scolastica dove la separazione etnica è ancora dominante. A loro si aggiungono poi sempre più famiglie con background migratorio. Un cortocircuito che pesa in particolare sulle scuole di lingua tedesca a Bolzano, dove cresce il numero di bambini non di madrelingua e con essa la pressione (anche politica) su insegnanti e dirigenti. Fino ad arrivare a proposte shock come quella delle «classi separate». Una leva, forse, per premere sui membri italiani nella Giunta provinciale — in primis l’assessore alla scuola italiana Marco Galateo di Fratelli d’Italia — affinché accettino l’istituzione di una controversa «commissione paritetica» che decida se accettare o meno un bambino in una scuola (e, in caso di rifiuto, mandarlo nella scuola dell’altro gruppo linguistico).

Il «no» di Kompatscher
Ma dal governo provinciale arriva un secco «no» alle classi separate, in primis dal presidente Arno Kompatscher: «La scuola dev’essere inclusiva per avere successo. Creare classi speciali non porterebbe comunque ai risultati sperati e, tra l’altro, non sono previste né dalla legge né dall’accordo di coalizione» chiarisce il Landeshauptmann. «Mi chiedo se una proposta simile fosse venuta da me o dal mio partito» dichiara invece il vicepresidente Galateo, secondo cui «quest’iniziativa appare in aperto contrasto con il dettato costituzionale, che garantisce il diritto all’istruzione e promuove l’inclusione, la convivenza e il rispetto reciproco, indipendentemente dall’origine linguistica o culturale». Il rischio è di «creare discriminazioni e disuguaglianze inaccettabili».

«L’integrazione è la sfida»
A mettere un punto sulla questione sono infine i vertici dell’istruzione di lingua tedesca. Per l’assessore provinciale alla scuola e cultura tedesca Philipp Achammer «parlare di ‘classi tedesche per bambini tedeschi’ è estremamente pericoloso», «non ci sono alternative all’inclusione e all’integrazione. Costa soldi e fatica, ma qualsiasi altra strada porta al conflitto sociale, come la storia ha dimostrato più volte». Per l’ex Obmann della Svp «l’integrazione linguistica è una sfida enorme per le scuole e i nostri insegnanti. Tuttavia, i nostri asili e le nostre scuole applicano ogni giorno il principio dell’inclusione con metodi scientificamente validi e regole chiare; questo non cambierà in futuro. Stiamo parlando di bambini che meritano di essere sostenuti tutti alla stessa maniera». Anche la sovrintendente scolastica tedesca, Sigrun Falkensteiner, pur sostenendo un certo margine di libertà dei dirigenti nella composizione delle classi, afferma che l’inclusione nelle scuole non può certo venire meno.
C’è chi legge, però, dietro alle dichiarazioni della Svp una strategia alla «poliziotto buono, poliziotto cattivo», come il senatore del Gruppo per le Autonomie Luigi Spagnolli: «Il discorso all’interno della Volkspartei, con Steger da una parte e Kompatscher dall’altra, è un teatrino cerchiobottista», commenta, «costituzionalmente non si può fare, ma Steger non pensa alle conseguenze negative per la credibilità della nostra Autonomia. Così a Roma facciamo una pessima figura».