l'editoriale
martedì 24 Dicembre, 2024
di Elena Pavan*
Nella parabola ascendente di Elon Musk c’è un prima e un dopo. A segnare questa scansione temporale sono state, due anni fa, la travagliata acquisizione di Twitter e la sua immediata riconversione in X. Finché non è entrato in possesso di Twitter, Musk ha incarnato per lo più l’archetipo dell’imprenditore visionario e disposto a rischiare tutto per realizzare l’impossibile – tipo lanciare nello spazio un’autovettura (prodotta dalla sua Tesla) dopo averla caricata all’interno di razzo (prodotto dalla sua SpaceX). Un genio, ha detto qualcuno. Un individuo senza limiti e senza scrupoli, hanno detto altri.
Buoni o cattivi che fossero, i giudizi sull’imprenditore sudafricano venivano principalmente da chi aveva un interesse, anche episodico, per il mondo dell’innovazione tecnologica o per quello dei grandi capitali.
Dal 2022 tutto questo è cambiato e Musk è diventato, anzi, si è forzatamente imposto come uno dei personaggi principali della politica statunitense e internazionale. Chi ne è rimasto sorpreso forse non ha ancora afferrato (o, più verosimilmente, finge di non afferrare) il nesso strettissimo che esiste tra potere economico, politico e mediatico.
È grazie al suo potere economico e alla complicità di un potere politico che evita come la peste il tema del conflitto di interesse che Musk ha potuto trasformare Twitter in una super-app commerciale, caratterizzata da un’antidemocratica confusione tra manifestazioni di odio e la libera espressione delle opinioni personali. Certo, il nuovo assetto può essergli costato qualche defezione – ma contano poco gli abbandoni di cittadini comuni o di qualche intellettuale «politicamente corretto» a fronte del rientro di alleati come Trump e della possibilità di dare forma, secondo criteri del tutto discrezionali, alla tanto invocata «opinione pubblica».
Sì, perché quella di «opinione pubblica» è, al contempo, uno dei fondamenti su cui poggia l’idea di democrazia liberale e uno dei suoi punti più deboli. L’opinione pubblica in teoria dovrebbe esprimersi liberamente ed offrire un contraltare al potere istituzionale facendo in modo che non persegua un interesse particolare ma, piuttosto, il bene comune. Allo stesso tempo, però, l’opinione pubblica non esiste in quanto entità tangibile e monolitica: è una rappresentazione collettiva che diventa concreta soltanto nel momento in cui la si vuole rendere tale, attraverso un sondaggio che la rileva empiricamente o, come nel caso di Musk, fornendo uno spazio dove può manifestarsi in modo (apparentemente) libero. Va da sé che scelte diverse riguardo a chi possa (o debba) essere considerato parte di un pubblico degno di avere un’opinione, su quali questioni sia rilevante esprimersi e sulle modalità in cui ciò possa avvenire porteranno a dare peso a opinioni pubbliche anche completamente diverse tra loro.
Tendiamo a dimenticare con troppa facilità che quelle che vengono raccontate e percepite come «piazze pubbliche digitali» sono, in realtà, grandi ville con parco di proprietà di multimiliardari che detengono il diritto di scegliere chi può entrare, chi deve uscire, e come ci si deve comportare mentre si rimane «a casa loro». Musk non fa alcuna eccezione in questo senso. Una volta risolto (se mai è esistito) il conflitto che lo aveva visto in passato opporsi a Donald Trump, ha messo il proprio potere mediatico ed economico al servizio di un potere politico che gli ha assicurato (e continua ad assicurargli) ampi margini di profitto e libertà di azione andando ad alimentare una parte inferocita dell’opinione pubblica e contribuendo a trasformarla in una risorsa decisiva per l’esito elettorale.
Musk ha tatticamente utilizzato X come spazio di campagna elettorale amplificando le posizioni MAGA (Make America Great Again, lo slogan della campagna trumpiana) attraverso quella che si sospetta essere una manipolazione attiva dell’algoritmo della piattaforma. Su questo, un gruppo di Parlamentari Europei capeggiati dalla tedesca Alexandra Geese ha chiesto l’attivazione di una procedura di indagine presso la Commissione Europea per violazione del Digital Service Act, il regolamento europeo che si occupa del mercato dei servizi digitali. In parallelo, la procedura di audit alla quale X deve obbligatoriamente sottoporsi annualmente in virtù dello stesso regolamento ha messo in evidenza come le modalità di moderazione dei contenuti pubblicati non siano adeguatamente trasparenti.
Facendo leva sul suo enorme capitale economico, Musk ha messo in piedi un imponente comitato di promozione elettorale, l’America PAC, che ha sversato centinaia di milioni di dollari a favore di Trump. Si è inventato un meccanismo di reclutamento elettorale basato su segnalazioni di elettori negli Stati in bilico ricompensate fino a cento dollari ciascuna. Ha promosso una petizione in difesa del primo e del secondo emendamento della costituzione degli Stati Uniti (cioè, della libertà di parola e del possesso di armi) e ci ha agganciato una lotteria per premiare alcuni fortunatissimi firmatari residenti negli swing states con assegni da un milione di dollari.
Per tutto questo lavoro, Musk si è guadagnato un potere politico tutto per sé con la nomina a capo del futuro Dipartimento per l’Efficienza del Governo (DOGE) – una commissione deputata a ristrutturare il governo federale statunitense riducendo la burocrazia e migliorandone le procedure di funzionamento. Sebbene questa nomina sia per ora solo stata annunciata e lo stesso DOGE non sia ancora stato istituito, Musk è già entrato nella parte facendo saltare l’altro ieri la legge di bilancio di fine anno ed aprendo la porta allo spettro del cosiddetto «shutdown» – cioè, la sospensione delle attività del governo federale a causa di un mancato accordo sull’allocazione dei fondi.
Anzi, è perfino andato oltre la parte a lui assegnata. Mentre Trump resta a prepararsi nel retroscena per la sua investitura ufficiale (il prossimo venti gennaio), l’inarrestabile Musk interviene anche in politica estera e si prodiga nel dimostrare esplicitamente ed in maniera sostenuta il suo supporto al presidente Meloni («è una persona che ammiro» ha detto consegnandole il Global Citizen Award) e la sua solidarietà al Ministro Salvini («è incredibile che sia sotto processo per aver difeso l’Italia» ha postato). I rapporti tra Musk e Meloni sono così stretti che non solo l’immaginario collettivo ha prodotto un deepfake virale (ma sessista, va detto) di un bacio appassionato tra i due. Il nostro governo ha suggellato questo sodalizio con un testo di legge appena presentato alla Camera che contiene «Disposizioni in materia di economia dello spazio» e sembra garantire a Starlink (di proprietà di Musk) una corsia preferenziale per accaparrarsi la fornitura di un servizio di connessione satellitare necessario (come dice l’articolo 25) a creare una «riserva di capacità trasmissiva nazionale» per connettere l’intero Paese dove la tecnologia dei cavi non arriva. Costerà molto, ma ci sarà (sempre per iniziativa del governo) un «Fondo per l’economia dello spazio» sempre ben rifornito – con buona pace di quelli che avrebbero preferito vedere questi fondi utilizzati per migliorare lo stato delle cose sul «globo terracqueo».
Con l’anno nuovo si apre senza dubbio una fase di cambiamento politico all’insegna di un populismo ipertecnologico che non soltanto sfrutta ma, più radicalmente, produce gli strumenti con i quali si autolegittima. A poco serve però concentrarsi esclusivamente su Musk che, per quanto possa non piacere, è solo una delle incarnazioni di un sistema drammaticamente fracassato tra l’incudine degli imperativi del capitalismo neoliberista, il martello dei sovranismi, e insopportabilmente martoriato dal rumore di voci tuonanti che si scambiano per un consenso generale. Rivendicare il diritto a fare rumore democratico, in tante forme e in altri spazi, soprattutto nelle piazze vere, sarà un necessario punto di ripartenza.
*Professoressa associata di Sociologia generale Unitn
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