il racconto
lunedì 11 Settembre, 2023
di Alberto Folgheraiter
Per chi suona la campanella, alle 7.55? Per 68.407 fra alunni e studenti, ovvio. E pure per i 6.235 docenti di 3.252 classi, certo. Ma chi suona la campanella? Il compito, solenne anzichenò, tocca ai collaboratori scolastici, nome altisonante per indicare quelli che sessant’anni fa, chi oggi ha i capelli bianchi (se li ha), chiamava semplicemente «bidelli/e». Fanno parte del personale Ata (amministrativo-tecnico- ausiliario) e per loro la scuola è cominciata già da qualche settimana. Una categoria che non conosce le luci della ribalta, misconosciuta ai più, a parte qualche macchietta. Come quella bidella che ai nostri tempi, come una mosca cocchiera, diceva tutta orgogliosa alla cassiera del supermercato che chiedeva notizie della scuola: «Ah, quest’anno, mia cara, ne abbiamo bocciati tanti». Restano comunque figure molto importanti nel mondo della scuola perché sono un aiuto su molti fronti.
Un «bidello» che non ha tempo né di promuovere né di bocciare, perché dopo l’orario scolastico dà una mano al figlio a governare una decina di vacche, tre maiali, un pollaio, pecore e conigli. Vive sull’altipiano a Campolongo di Pinè.
Si chiama Renzo Dallapiccola, ha 63 anni, un diploma da ragioniere in tasca («Ho fatto il ragioniere un solo anno, ma non mi piaceva»), mille mestieri manuali, finché, nel 2007, è approdato nel mondo della scuola.
«Ho fatto dieci anni di bidello-manutenzione al collegio Arcivescovile, a Trento, dopodiché sono finito nella scuola pubblica, prima a Civezzano, oggi a Cognola».
Ma lei fa anche l’allevatore, no?
«Ho cominciato io molti anni fa, poi mio figlio Diego, diplomato a San Michele, ha rilevato l’attività agricola e quando ho tempo gli do una mano».
Lei ha 63 anni, questo sarà il suo ultimo anno da bidello, è così?
«Se tutto va bene dovrei andare in pensione nel 2024. Il prossimo giugno dovrei poter prendere il “prosàc”, lo zaino, e tornare a casa».
Un tempo nel settore pubblico si andava in pensione prima.
«Quando io ero “bòcia” si andava a lavorare nelle imprese edili dell’altipiano o a fare i camerieri negli alberghi. E i contributi previdenziali sono andati su per il camino. Adesso mi mancano un anno o due. Ad ogni modo va bene così».
Si dice bidello o operatore ai piani?
«Come qualifica noi siamo collaboratori scolastici, comunemente detti “bidelli”. Non è che il bambino ti chiama “collaboratore”».
Qual è il compito del bidello-collaboratore scolastico?
«Qualche anno fa, all’interno di un plesso scolastico c’erano almeno sei bidelli. Adesso che le risorse scarseggiano siamo meno. E la nostra attività si è caratterizzata come un catalizzatore chimico: da una parte la famiglia, dall’altra la scuola. Dobbiamo cercare di risolvere i problemi pratici».
In che senso?
«Nella scuola primaria, in particolare, i bimbi sono piccoli, hanno bisogno di mille attenzioni. Io sono papà di tre figli e anche nonno. Grazie a Dio tante cose le capisco. Coi bambini ci vuole tanta pazienza, gentilezza e tatto».
Anche coi genitori, anzi, soprattutto con loro, stando alle cronache.
«Con loro si deve essere ancora più diplomatici. Ad ogni modo, negli ultimi anni ho assistito a un aumento di bimbi iperattivi, ansiosi, e, per converso, di parecchi genitori che vorrebbero insegnare agli insegnanti come si fa a fare il maestro».
Vale a dire?
«Ci sono genitori, pochi per fortuna, altezzosi e arroganti. Nelle famiglie avverti un deserto educativo perché tutti corrono, tutti lavorano. Parcheggiare un bimbo è comodo e allevare i figli costa sacrificio».
Aumentano, par di capire, i genitori-nonni di figli di un secondo o di un terzo matrimonio.
«Purtroppo avverti che ci sono parecchie famiglie in crisi, entrano in scena il compagno o la compagna, e loro, i piccoli, sono sballottati qua e là come pacchi postali. A scuola questo lo vedi e lo avverti».
E qui qual è il compito del bidello?
«È quello di smussare gli angoli che la vita presenta a questi bambini. Quando io ero piccolo non c’era questo tipo di problema: quello che dorme con mia mamma non è mio padre».
Ma i bambini si confidano con lei?
«Accade più di quanto si pensi. Magari sono nel corridoio e si avvicinano. Ti dicono: “Venerdì non ci sono vado dal mio papà, vado da un’altra parte. Ci vediamo lunedì”».
Voi dovete fare anche le pulizie?
«Sì, certo, a 360 gradi. Succede che in vari plessi scolastici ci sono le squadre esterne addette alle pulizie. Nel plesso dove lavoro io ci arrangiamo noi. Siamo stati incaricati di effettuare anche le pulizie».
In quanti siete?
«Uno sul turno del mattino: apertura, accompagnamento dei bambini, soluzione delle richieste che arrivano dai o dalle insegnanti. C’è un tavolo da cambiare, una sedia da aggiustare, manca la carta da fotocopie, non ci sono più matite… Si interviene e si cercano soluzioni rapide».
E al pomeriggio?
«Ci sono tre colleghi/e addetti alle pulizie. Prima di andare a casa do una mano anch’io. La differenza la fa la squadra. Se è buona, il lavoro è più leggero, viene fatto bene con la soddisfazione di tutti».
Se avesse per un giorno una bacchetta magica che cosa farebbe?
«Dipendesse da me formerei classi con un numero di alunni non superiore a 15-17. Perché una classe con 22-24 bimbi anche gli/le insegnanti fanno fatica. Ripeto: ci sono piccoli veramente ansiosi, forse colpa della pandemia non so, ma è difficile seguirli tutti bene».
Solo questo?
«No. Ci vorrebbero insegnanti davvero preparati, perché le graduatorie non sempre premiano la preparazione. Il punteggio maggiore non va di pari passo con la qualità dell’insegnamento. E poi in talune classi c’è il problema del turn over. Chi ha insegnanti stabilizzati impara meglio e la differenza la vedi poi alle medie e alle superiori».
Questo vale, dicono, soprattutto per i cosiddetti bambini-Bes, con Bisogni educativi speciali.
«Lo avverti quando vedi che un bambino con problemi si affeziona a un educatore e poi, magari, l’anno seguente cambia figura di riferimento. Ecco, se avessi la bacchetta magica comincerei a risolvere questo problema».