L'intervista

domenica 1 Gennaio, 2023

Il questore di Trento Improta: «Ho visto gli amici di mio padre uccisi dal terrorismo»

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L'analisi sulle problematiche trentine: «Giovani e branco, un fenomeno da capire e non sottovalutare» e i racconti della propria carriera

È appena trascorso il suo primo Natale «trentino» e sta per arrivare il primo Capodanno. Sei mesi sono abbastanza per farsi per «capire» una città e il suo territorio? Chissà, quel che è certo è che per chi lavora nella polizia è necessario. «I poliziotti hanno questi tempi — spiega Maurizio Improta, questore di Trento dal primo agosto scorso, nel forum a «il T» — . Viviamo in una città ma non possiamo diventarne parte integrante. Dobbiamo tenere la giusta distanza: quella che ci consente di soddisfare la nostra curiosità investigativa senza assuefarsi all’ambiente».
Si è fatto un’idea di quali possono essere le peculiarità, o i problemi, di Trento?
«Mantengo l’abitudine di leggere ogni giorno giornali nazionali e locali: quello che accade qui accade anche altrove. Ci sono piccole differenze di ordine ambientale e culturali, ma alla fine l’impatto della globalizzazione, termine che pur non mi piace, è innegabile».
Un esempio?
«Il fenomeno di quei giovani che, influenzati magari dall’estetica “trapper”, mettono in atto un comportamento da branco solo per imporsi al debole di turno».
Si riferisce agli episodi di rapina in cui alle vittime, minorenni, è stato chiesto di consegnare le scarpe?
«Sì, ce ne sono stati un paio e sono davvero spiacevoli, perché sono rapine a tutte gli effetti. E perché dovrebbe arrivare una reazione anche dalle famiglie: se un giovane torna a casa con un paio di scarpe alla moda, mai visto prima, non gli si dice niente?».
Uno di questi episodi è avvenuto fuori dalla stazione. Piazza Dante resta sempre una zona da sorvegliare?
«Sì, assieme ad altre aree conosciute come alcuni parchi e giardini. Per tutto il centro stiamo ricorrendo a nuove forme per essere presenti, come la polizia a cavallo e su bici. Non è una presenza scenica: le denunce di furti e borseggi durante i mercatini sono calate dell’85% rispetto agli anni precedenti. Il nostro compito non è solo quello di reprimere, ma anche di far sentire la gente al sicuro, coccolata. Ed è stato bello vedere tanti bambini che si facevano le foto vicino agli agenti».
Lo spaccio resta un problema?
«C’è un’alta domanda di sostanze illegali, senza perderci nella differenza tra droghe leggere e pesanti, e il mercato risponde. Ci sono una ventina di pusher attivi e qualche “pendolare” che fa il corriere. Quello che non si vede, rispetto al passato o rispetto a quanto accade ancora in altre parti d’Italia sono i reati collegati alla droga. I clienti, dunque hanno disponibilità economica, che siano entrate dei genitori, nel caso dei più giovani, o di lavoro».
Come vengono contrastati questi reati?
«Siamo presenti con i cani ogni giorno nei parchi e di recente abbiamo messo a punto qualche duro colpo. C’è chi fa “rifornimento” in vista del Capodanno. E non c’è solo “fumo” o “erba”, ma anche il ritorno dell’eroina».
Uno dei primi temi di cui si è occupato è stata la «malamovida» in centro. Com’è la situazione?
«Abbiamo riscontrato che c’è effettivamente un problema di rumore e di chiacchiericcio, ma non sempre tale da essere una questione di polizia. Gli esercenti si sono rivelati molto collaborativi: hanno assunto steward professionali».
Sempre ai mercatini eravate presenti con una «casetta», com’è andata?
«Abbiamo raccolto ottomila euro che andranno a favore di un onlus che gestisce beni confiscati alla camorra. Abbiamo ascoltato anche molte persone che non si sentono sicure a casa: chiuderemo l’anno con oltre 200 ammonimenti per atti di violenza sulle donne: è quasi uno al giorno e molti avvengono nelle valli».
Sul fronte dell’allarme sociale, della povertà, cosa può fare la questura?
«Essere più veloci nel rilasciare i permessi di soggiorno: è indispensabile per poter lavorare e accedere ai servizi. Abbiamo preso delle iniziative al riguardo e si stanno già vedendo miglioramenti: li abbiamo raddoppiati e così anche i passaporti (da 3.300 a 8mila, il raffronto tra semestri, ndr), grazie alle nuove aperture. C’è da dire che ho trovato una grande sensibilità su questo fronte anche dalla politica: l’obiettivo è l’integrazione non avere meno immigrati».
Lei è il figlio di Umberto Improta, capo dell’ufficio politico a Roma, poi questore a Milano, un personaggio che ha vissuto in prima persona gli anni del terrorismo. Cosa significa essere cresciuti in quell’ambiente?
«Significa aver assistito alle lacrime per i colleghi che venivano uccisi: come Luigi Calabresi morto il 17 maggio, festeggiavamo il compleanno di mia sorella. Come il giudice Vittorio Occorsio: mio padre promise alla moglie che avrebbe trovato l’assassino e ci riuscì».
Sente di aver seguito le sue orme?
«Sono diventato anch’io uno “sbirro” perché ho respirato quell’aria. Ma sono contento che i miei figli abbiano fatto altre scelte. Si rischia di sentirsi molto soli».
Lei è stato coinvolto nel caso Shalabayeva, la donna kazaka per la quale era stato ipotizzato un «rapimento di Stato». A giugno l’assoluzione. Cosa ha provato?
«È stata una soddisfazione sentire le parole “perché il fatto non sussiste”. Si sosteneva che l’attività era stata appositamente accurata per nascondere il reato. Insomma, avrei fatto il mio dovere, ma al fine di delinquere. Una tesi ora smontata. Per il resto… sono dieci anni che nessuno mi ridarà indietro. Sentirsi accusare di essere al soldo di una Stato straniero è un pugno nello stomaco per chi lavora al servizio delle istituzioni».
Fra poche ore saremo nel 2023. C’è qualcosa a cui fare attenzione?
Trento è una bella città. Interessante. Purtroppo anche per chi vuole fare affari illegali. I precedenti ci sono, occorre vigilare.