Ambiente

domenica 23 Aprile, 2023

Il ritorno del lupo, luci ed ombre di una convivenza

di

«Nessun animale ci affascina come il lupo perché è un animale sociale e territoriale, con comportamenti molto simili ai nostri. Perciò se ho la possibilità di guardarlo negli occhi non posso non vederci anche un fratello. Anche se», dice il guardiaparco Luca Giunti «non è detto che tra fratelli ci si ami».

Convivere con il lupo, come con gli altri grandi carnivori, richiede innanzitutto corretta informazione. Riconoscere il «diritto di rimanere perplessi» ma anche analizzare le cause, i rischi e i benefici di un ritorno, ormai un dato di fatto in tutto l’arco alpino, che pone nuove sfide per allevatori e residenti.

Parola di Luca Giunti, guardiaparco presso le aree protette delle Alpi Cozie in provincia di Torino oltre che naturalista, fotografo e autore di diversi libri sul lupo, protagonista dell’incontro «Lupi Vicini: c’è da pre-occuparsi», venerdì scorso, nella splendida cornice del Maso Pacomio nei pressi di Fiavé.

La serata, affollatissima, è uno degli eventi di avvicinamento al Coesistenza Festival, iniziativa che mira a facilitare un’equilibrata interazione fra uomo e fauna selvatica e che a settembre giungerà alla seconda edizione.
In un clima che inevitabilmente risente della cronaca drammatica di un’altra difficile coesistenza, quella con l’orso, il guardiaparco cattura un pubblico vario e attentissimo in un dialogo che dura più di due ore.

Filo conduttore della serata, la necessità di un dialogo con le parti coinvolte, a partire dagli allevatori: «Chi vuole salvare il lupo non può che farlo insieme a loro». Questa categoria, argomenta, vive ormai una situazione insostenibile, con le speculazioni che hanno fatto salire alle stelle gli affitti dei pascoli, mentre, a causa della burocrazia, molti pastori sono costretti «a buttar via la lana che producono». Pesano anche i numerosi divieti di fare percorrere alle greggi alcuni terreni, mentre altri devono essere evitati per non far ingerire agli animali i prodotti fitosanitari dell’agricoltura intensiva. Nelle condizioni, spiega, il ritorno del lupo è visto comprensibilmente come la classica «goccia che fa traboccare il vaso».

Non tanto per l’entità dei danni (nel comparto agricolo pesano molto di più più altri animali come i cinghiali e addirittura le gazze), d’altronde sono completamente risarciti, ma per l’impegno richiesto: mettere recinzioni anti lupo, ad esempio, costa varie ore di lavoro in più, non retribuito. Riconoscere e cercare rimedi a questa situazione generale, senza focalizzarsi sul solo aspetto, certo più facile da individuare, del lupo, sarebbe forse un passo importante per rendere la convivenza meno problematica.

Qualcuno del pubblico chiede se ci sono pericoli per l’incolumità delle persone. Nelle condizioni attuali, spiega Giunti, non c’è motivo di aspettarsele. «La prima ragione è che gli umani non sono prede dei lupi». Storicamente, spiega, è vero che i lupi hanno aggredito bambini, ma andavano da soli a pascolare le greggi in luoghi remoti, pratica del tutto inimmaginabile oggi. Ma soprattutto, «contrariamente a quanto abbiamo incastrato nella nostra immaginazione collettiva, i nostri lupi, oggi, non sono affamati». Questi animali, spiega, si trovano in una situazione di abbondanza di prede che non conoscevano da secoli, e considerando che temono l’uomo, non hanno ragione di attaccare.

Ma poiché «il rischio zero non esiste» occorre comunque prestare attenzione, soprattutto in alcuni casi: un lupo ferito può essere pericoloso, e ancor peggio è cercare di salvarne uno che si trova intrappolato in qualche manufatto umano. In queste situazioni, come per qualsiasi problematica dovuta al predatore, occorre assolutamente avvisare le forze dell’ordine e le istituzioni locali. Un’altra pratica fondamentale da evitare è lasciare fonti di cibo a disposizione che possono incentivare gli animali ad assumere atteggiamenti «confidenti».

Al netto dei problemi che richiede, spiega, il ritorno del lupo è un fatto estremamente positivo per l’ecosistema: »i predatori rimettono a posto la piramide alimentare sottostante», con effetti che si estendono anche ad ambienti apparentemente distanti, come la qualità dei fiumi. Per avere un quadro più chiaro della situazione, argomenta, occorre pensare in primo luogo a perché erano scomparsi e perché sono tornati. «Prima noi umani gli abbiamo distrutto la casa, il bosco, poi abbiamo fatto fuori le sue prede: cinquant’anni fa nella mia regione, il Piemonte, gli unici ungulati erano i camosci. Gli stambecchi erano solo sul Gran Paradiso e i cervidi erano stati sterminati. Per ultimo li abbiamo cacciati fisicamente, in particolare i cuccioli».

Se ora sono tornati, spiega, è dovuto non solo al fatto che sono una specie protetta ma all’espansione del bosco, al ritorno delle prede (spesso importate dall’Europa orientale anche a scopo venatorio) e alle caratteristiche dell’animale, i cui maschi vanno in dispersione per colonizzare aree sempre nuove. Un modo diverso di vivere il territorio che non può ridursi alla sola presenza o meno del predatore.

I problemi, continua, esistono, ma occorre diffidare delle soluzioni apparentemente facili, come l’abbattimento casuale per contenerne il numero: «se si uccide il maschio o la femmina alfa restano gli individui più giovani e inesperti, che si rivolgono alle pecore perché molto più facili di un animale selvatico. Per questo in questi casi i danni addirittura aumentano».

Ogni volta che ci imbattiamo in un lupo abbiamo di fronte un animale «praticamente perfetto, semplicemente perché se non lo fosse sarebbe già morto» e per gestirlo dobbiamo in primo luogo conoscerlo, senza negare le difficoltà di un rapporto millenario. «Nessun animale ci affascina come il lupo perché è un animale sociale e territoriale, con comportamenti molto simili ai nostri. Perciò se ho la possibilità di guardarlo negli occhi non posso non vederci anche un fratello. Anche se», conclude il guardiaparco «non è detto che tra fratelli ci si ami».