L'artista
mercoledì 17 Aprile, 2024
di Gabriele Stanga
«Ma non la senti questa forza viva che sta tutta intorno? Che ci piange nelle mani e ride in un disegno eterno. Che fa nascere costellazioni e parla nei silenzi, che si nasconde dietro i nostri sensi». Così canta Francesco Camin nel suo brano «Madre», primo singolo tratto dal nuovo album “Quando eravamo”, in uscita venerdì 5 aprile su tutte le piattaforme e nelle settimane successive sull’e-commerce personale dell’artista. In realtà Madre era già uscita qualche anno prima e grazie ad essa il cantautore trentino si era aggiudicato il premio Lucio Dalla. Nel frattempo, sono successe tante cose, tra avvenimenti personali che hanno portato ad una pausa di riflessione e la nascita di una bambina che oggi ha due anni. A contribuire all’attesa c’erano anche tanto perfezionismo e la voglia di curare i brani in ogni dettaglio. Oggi, però l’artista è pronto a rilasciare le otto tracce del suo secondo disco, che segue Palindromi, del 2018, e il disco di cover Etere, del 2020. Quando eravamo segna un punto di svolta rispetto alla produzione precedente, un nuovo percorso che nasce da una diversa visione delle cose. Questo a partire dal titolo che vuole essere un ritorno, una riconnessione con la parte più autentica di sé. Lo si vede bene già dalla copertina dell’album, la quale ritrae il cantante su una collina, immerso in un mare di sedie. Solo, seduto con le profondità del proprio io. «Quando eravamo è la mia discesa e la mia risalita. Sono le mie radici sprofondate nel buio e nel freddo della terra, che mi hanno permesso di creare nuovi rami e trovare un nuovo sole», scrive Camin sul proprio profilo Instagram. Da questi spunti parte l’intervista rilasciata a «il T».
Camin, il suo nuovo lavoro discografico Quando Eravamo si è fatto attendere sei anni dopo l’uscita del primo album, Palindromi. Come mai tutto questo tempo?
«Sono sempre stato lento nel pubblicare, perché sono perfezionista sia nella composizione che nell’arrangiamento. Oltre a ciò, avevo provato a mettere in piedi una strategia dei singoli, con Madre che è stato il primo di una nuova vita del mio progetto. Mi sono, però dovuto fermare per un anno e mezzo perché sono successe tante cose. Ho una bimba di due anni e mi sono trovato di fronte a degli avvenimenti personali che mi hanno spinto a guardarmi dentro. Sono stato lontano anche dai social, era da un anno che non pubblicavo niente. Ora, però sono contento di presentare questo album e tornare a fare sentire qualcosa di mio».
In una delle sue stories sui social, però, lei diceva che le canzoni non sono di chi le scrive ma che arrivano da altri piani, un concetto interessante.
«Esatto, l’artista ha il compito di aprire il canale a queste dimensioni. Noi crediamo di essere unità separate le une dalle altre ma in realtà non è così. Siamo tutti parte di un’energia e un’intelligenza più grande di noi, di cui siamo espressione in base a quanto è libera la nostra essenza. Chiunque può creare arte, anche facendo il postino o il netturbino, è l’essere creativi in senso lato che porta bellezza. Credo che la potenza di un’opera vada a colpire il cuore e l’anima della gente, bypassando la mente, le credenze e le paure».
Da qui viene il titolo dell’album?
«Il titolo viene spiegato in un podcast che racconta il significato del disco e si troverà disponibile sul mio e-commerce, insieme ad altri contenuti speciali e al nuovo merchandising. Il messaggio è che dobbiamo tornare a quando eravamo, riconnetterci alla parte più profonda di noi, che ci parla in maniera sussurrata ogni giorno. Il nostro compito è ascoltarla e lasciare andare le parti superflue cui diamo troppa importanza».
Quanto è diverso questo disco rispetto a Palindromi?
«C’è discontinuità sia perché io sono cambiato, sia per una differenza di sonorità e vibrazione delle canzoni. Palindromi è molto più cupo nei colori della copertina, nei suoni e nel mixaggio. Da Madre in poi, nonostante i brani mantengano un che di malinconico, si trova una luce diversa, più speranzosa. È diversa anche la produzione, si sente di più la mano di Marco Sirio Pivetti, bravissimo a comprendere l’anima dell’artista e tradurla in suono. Senza dimenticare l’apporto dei musicisti della mia band e le collaborazioni di Christian Stanchina al flicorno, Tommaso Santini al violino e Fiorenzo Zeni al sax».
La canzone Madre le ha consentito di vincere il Premio Lucio Dalla nel 2021, che emozione è stata?
«Mi ero iscritto con quella e Senza pelle, che pure fa parte del nuovo disco ma in tutt’altra veste rispetto ad allora. Fu una tre giorni molto bella, in cui conobbi anche gli altri partecipanti, eravamo tutti insieme in una sorta di piccolo villaggio. Madre, tra l’altro, venne nominata anche come miglior videoclip italiano al Mei, meeting delle etichette indipendenti. È un brano che mi ha dato tante soddisfazioni sia musicali che di immaginario».
Che rapporto ha con Red Ronnie, del quale è stato ospite più volte?
«Da Red andai per la primissima volta con un altro cantautore, Dodicianni. In seguito, mi ha invitato ad andare live da solo al Barone Rosso, e di quel momento è ancora disponibile la diretta Instagram, e poi ad un altro suo programma Let’s spend saturday night dream. Mi sarebbe piaciuto presentare da lui anche questo disco ma il nuovo Roxy Bar ha già tutta la programmazione occupata. Se ne riparlerà in futuro. È una persona genuina, con delle belle vibrazioni. Ultimamente viene un po’ preso in giro ma lo apprezzo tanto».
Poi ci sono le imitazioni di Crozza…
«Quelle sono bellissime, mi fanno morire (ride)».