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giovedì 6 Aprile, 2023

Il «Trump show» è solo agli inizi. «L’unico crimine che ho commesso è stato difendere la nazione»

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L’ex presidente attacca il procuratore Bragg dopo l’incriminazione e secondo gli esperti il processo potrebbe arenarsi per le accuse poco solide
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Il giorno dopo il “Trump show”, iniziato nella Procura di Manhattan e conclusosi nel comizio davanti ad una folla di fedelissimi a Mar-a-Lago, partono le analisi più accurate sulle accuse che il procuratore Alvin Bragg ha mosso all’ex presidente. «L’unico crimine che ho commesso è stato difendere la nazione da coloro che vogliono distruggerla», ha tuonato martedì sera Trump, che non è entrato nel merito delle accuse, limitandosi ad attaccare i magistrati, nonostante gli ammonimenti del giudice Juan Merchan.
Se vale l’espressione degli ambienti giudiziari Usa che «l’insabbiamento è peggio del delitto», nella vicenda Trump-Stormy Daniels l’insabbiamento ha peggiorato il reato. Nell’atto d’accusa, i magistrati affermano che Trump ha falsificato i propri documenti aziendali per pagare, alla vigilia del voto presidenziale 2016, il silenzio della pornoattrice su una passata relazione, che avrebbe potuto danneggiare la sua elezione. Secondo Bragg, proprio il tentativo di Trump di coprire i reati legati a quelle elezioni ha permesso all’accusa di conteggiare un totale di 34 reati. E tuttavia, l’incriminazione solleva una serie di questioni sulle competenze delle leggi statali e di quelle federali, che potrebbero fornire degli appigli alla difesa dell’ex presidente, prima ancora che il caso approdi in tribunale.
Per Richard Hasen, esperto di diritto elettorale e docente a Los Angeles presso la facoltà di legge dell’Università della California, il caso presentato da Bragg è «ambiguo», perché «il procuratore non ha offerto un’analisi legale dettagliata su come possono aggirare questi potenziali ostacoli» e questo «potrebbe potenzialmente bloccare il caso per molto tempo». Secondo l’impianto accusatorio, il caso non riguarda i dettagli del pagamento in contanti a Stormy Daniels, né del rapporto di Trump col suo ex legale e faccendiere, Michael Cohen, poi diventato testimone d’accusa, che materialmente effettuò il pagamento. Piuttosto riguarderebbe un candidato presidenziale che utilizza i suoi soldi e la sua influenza per seppellire storie potenzialmente dannose che potrebbero indurre gli elettori a non votarlo.
La falsificazione di documenti aziendali può essere derubricata a reato minore, che normalmente non comporterebbe il carcere. Diventa reato più grave – con una pena fino a quattro anni di reclusione – se c’era l’intenzione di commettere o occultare un secondo reato. Nel caso di Trump, Bragg ha affermato che i registri aziendali sono stati falsificati per coprire presunte violazioni della legge elettorale statale e federale.
Il pagamento di 130mila dollari alla Daniels ha superato il limite federale sui contributi elettorali, ha detto il procuratore, che ha anche citato una legge elettorale di New York che considera reato la promozione di un candidato attraverso mezzi illegali.