L'analisi

venerdì 24 Febbraio, 2023

Il valore della pianificazione: paesaggi, tra natura e cultura

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Il Piano urbanistico provinciale ha prodotto la discontinuità del territorio che sta alla base della qualità paesaggistica: una scelta che ai giorni nostri si rivela lungimirante

Il Trentino è un territorio montano che, pur nella sua limitata estensione, porta le sue acque su ben sei bacini idrografici (Adige, Sarca, Chiese, Astico, Brenta, Mis-Cordevole). In mezzo a questo variegato alternarsi di valli e altopiani la morfologia ha prodotto ambienti naturali diversi. Ma soprattutto l’azione dell’uomo attraverso i secoli ha generato paesaggi «culturali» che hanno avuto come agenti della trasformazione le attività agricole nelle fasce medio-basse e quelle pastorali nelle fasce medio-alte. Si sono venute a costituire, in tal senso, variegate unità di paesaggio che hanno favorito una buona biodiversità.
L’avvento dell’età moderna, con una fiducia illimitata nell’onnipotenza della tecnica, ha impresso una forte accelerazione alle trasformazioni del territorio al punto da pregiudicarne la riconoscibilità generando «non-luoghi». Si tratta di spazi dell’anonimato in cui diventa sempre più difficile sostare, vedere, conoscere e riconoscersi. In Trentino, con un’incidenza minore rispetto ad altre realtà alpine, è ancora possibile riconoscere paesaggi che, attraverso il tempo, si sono sedimentati nel nostro immaginario simbolico. Il paesaggio, infatti, è il prodotto dell’interazione fra l’ambiente naturale e la sua trasformazione ad opera delle azioni umane. La storia ne ha plasmato i contenuti in un incessante processo di mutazione delle forme per cui una diffusa tendenza a separare paesaggi naturali e paesaggi culturali risulta fuorviante. Nella relazione «natura-cultura» la propensione dell’uomo a rappresentare il proprio «spazio di vita» secondo modalità culturalmente connotate ne rende improponibile la separazione. Ogni ambiente naturale, nella misura in cui viene percepito e vissuto, subisce un processo di «acculturazione» che lo espone al gioco delle percezioni, delle rappresentazioni, delle costruzioni mentali. Nella cultura italiana è ancora presente, seppure in forma residuale, un’idea di paesaggio declinata in senso idealistico-estetizzante di chiara derivazione crociana. In tal modo si corre il rischio di accentuare la contrapposizione fra uomo e natura, decisamente superata dall’evoluzione del pensiero ecologico. Fra comunità umane e luoghi si stabiliscono continue relazioni sia nel senso materiale del costruire, dell’addomesticare la natura, sia nel senso immateriale del vedere, del contemplare, dell’identificare simbolicamente. Gli atti di identificazione e riconoscibilità implicano atti di selezione e differenziazione tali da conferire un’anima al paesaggio, efficace antidoto contro i rischi della serialità propria delle società industriali e postindustriali. Essa genera un forte impoverimento nella qualità paesaggistica dei luoghi. La «Convenzione Europea del Paesaggio» sottoscritta nell’anno 2000 afferma in proposito: «La qualità del paesaggio costituisce un elemento essenziale per il successo delle iniziative economiche e sociali». Questa enunciazione, se correttamente applicata, impegna a rafforzare un’etica e un’estetica della responsabilità verso i luoghi – si pensi all’equazione «bello-buono» che l’antica filosofia greca aveva saggiamente proposto – per sottrarre i luoghi della contemporaneità al loro destino di «non-luoghi» secondo la definizione dell’antropologo Marc Augé. A lui si debbono le più raffinate osservazioni riguardo alla perdita di identità, di relazione, di storia generata da soluzioni urbanistiche alienanti.
Dalla scarsa qualità paesaggistica di spazi degradati come le periferie urbane si generano spesso situazioni psicogene di disagio esistenziale e sociale, situazioni di «angoscia territoriale» di patologico spaesamento. L’alienazione prodotta dal venir meno della relazione intenzionale con i luoghi accresce il «disagio della civiltà» di cui oggi soffrono gli abitanti delle grandi conurbazioni.
La città tardo-moderna a carattere metropolitano è espressione di elevata complessità sociale e accentua quel primato dell’artificiale che produce mondi virtuali assai lontani dalla realtà. Nei territori come il Trentino questo rischio è certamente contenuto anche se non del tutto escluso. Il consumo di territorio, un tempo destinato a usi rurali, ha trasformato profondamente il paesaggio e talune aree sono diventate difficilmente riconoscibili. Tuttavia il territorio trentino, se confrontato con altre realtà italiane, possiede caratteri di vivibilità grazie a un Piano Urbanistico Provinciale (PUP) a suo tempo lungimirante. Le aree verdi punteggiano ancora il fondovalle creando quelle discontinuità fra spazi aperti e spazi chiusi, fra spazi rurali e spazi urbani che sono alla base della qualità paesaggistica. Il tema del paesaggio – costruzione culturale e sociale nella relazione dialettica con l’ambiente naturale – sarà al centro delle riflessioni che l’Uni.UDT di Riva del Garda inserirà nel proprio calendario formativo della prossima stagione primaverile.