la storia
domenica 3 Marzo, 2024
di Sara Alouani
Da un piccolo corridoio costeggiato da un microbico armadio si arriva ad una stanza, che potrebbe sembrare un soggiorno: Marwa e suo marito mi accolgono, lei visibilmente a disagio tenta di ordinare quella stanza mentre chiedo il permesso di scattare qualche foto: «Un attimo che sposto la coperta da lì» o ancora, «per favore, aspetta che stacco il marsupio dal soppalco».
Un ordine che probabilmente la trentaduenne ha in testa ma che non è possibile riproporre in quei dieci metri quadrati di area calpestabile, che costano 500 euro al mese d’affitto, ma che lei comunque chiama casa da anni. Non è possibile perché fisicamente non c’è posto per riporre gli averi, anche se limitati al minimo indispensabile, di una famiglia con due bambine di due anni e undici mesi. A destra un angolo cottura che occupa metà dello spazio a disposizione e che finisce con un frigo che va direttamente contro al lettino da campeggio che è utilizzato da Marwa come scomparto per riporvi le coperte e le lenzuola. A fianco, invece c’è un materasso, a terra, ed è li che la bimba più grande dorme. Poi il lettone dei genitori al quale si appoggia la culla della neonata che va a finire sotto la televisione. Al centro della stanza il tavolo da pranzo rotondo, situato sotto il soppalco in legno elettrico che regge un letto matrimoniale e che, all’occorrenza, sale e scende per trasformare la zona giorno in una zona notte ma che la famiglia di Marwa usa come ripostiglio mantenendo la sua posizione sempre in alto. Alzano lo sguardo si possono notare valigie, borse e sacchetti accatastati uno sopra l’altro: una specie di garage, ritagliato in un metro e mezzo sospeso in aria.
Una situazione ormai diventata invivibile, in cui ogni spazio è occupato da qualcosa. Da chiavi, da vestiti, dal seggiolone per le bimbe, dalle biciclette e dai loro giochi. Anche il bagno (cieco), situato vicino all’entrata, è stato trasformato in un deposito: «Dobbiamo metterci i bidoni delle immondizie perché non abbiamo un balcone» spiega il marito di Marwa che ha anche dovuto rinunciare alla sua bicicletta perché non c’era più spazio per tenerla in casa. Fino all’arrivo della secondogenita era riposta a fianco al letto, proprio dove oggi c’è una culla. Quattro finestre e una cappa che non funziona. Un problema questo che si è riversato sulla salute delle bambine e ora Marwa non cucina più. «Mi limito a fare cose che non puzzano – racconta- perché la più piccola ha iniziato a tossire a causa dei fumi e degli odori che si liberano in casa quando preparo i pasti». Certo, si possono sempre aprire le finestre «ma con il freddo dell’inverno dovevamo decidere se far ammalare le bambine o tenerci la puzza in casa». Problema quello degli odori sgradevoli che si ripropone anche con il caldo: «Con i bidoni delle immondizie in bagno – continua- il fetore è insopportabile» e sebbene la famiglia abbia chiesto di poter mettere i contenitori all’esterno dell’edificio, nel cortile condiviso, il proprietario ha spiegato che per questioni igieniche e di decoro non è possibile.
Perché allora non hanno cambiato casa, in molti si chiederanno? Ed è quello che Marwa sta provando a fare da oltre due anni, anche prima che arrivassero le bambine ma se da un lato Itea non ha mai contattato la famiglia per proporre un alloggio, sebbene in graduatoria la famiglia sia idonea a riceverlo, dall’altra i privati «non affittano a noi stranieri». Sono infatti numerosi gli appuntamenti a cui Marwa e il marito si sono presentati ma «dopo averci visti e aver capito che non siamo italiani ci richiamano dicendo che hanno già affittato ad altre persone». Alcuni annunci compaiono anche con la nota «no stranieri»: «Ecco – spiega rassegnata – quelli non li chiamiamo nemmeno». Con uno stipendio da dipendente di una ditta di trasporti la famiglia sarebbe disposta anche a pagare 700 euro per un affitto, visto che «la priorità al momento – concludono – è una casa più grande, non chiediamo una casa gratis». Ma d’altronde, come ha più volte rimarcato Itea «ci sono altre persone in attesa di un alloggio anche messe peggio di voi».