Il caso

domenica 29 Dicembre, 2024

Inchiesta perfido: storia del lavoratore picchiato e sequestrato dopo dieci anni ancora senza risarcimento

di

L’avvocata che difende il lavoratore del porfido Xupai Hu: «È passato troppo, i reati contro i carabinieri imputati saranno prescritti»

L’attesa, vana, durata un’intera giornata, di poter parlare con il proprio datore di lavoro per ottenere gli oltre 34 mila euro di stipendi arretrati; poi il finto appuntamento, alle 19, nel piazzale di lavorazione usato dalle ditte del porfido in località Dossi-Grotta, sopra il lago di Lases, dove finalmente l’operaio cinese Xupai Hu avrebbe dovuto incontrare il suo capo Bardul Durmishi; e infine l’agguato con il pestaggio che gli costò un ricovero al Santa Chiara di Trento, una prognosi di 20 giorni e l’indebolimento permanente di mascella e mandibola. Sono passati 10 anni dall’aggressione del 2 dicembre 2014 ai danni del lavoratore cinese Xupai Hu che squarciò il velo sul settore del porfido in Val di Cembra, rivelando a tutto il Trentino e non solo lo sfruttamento sistematico degli operai, soprattutto stranieri, nelle cave del cosiddetto oro rosso. Ma in questi dieci anni – pur a fronte delle condanne definitive nei confronti dei suoi aggressori (Bardul Durmishi, Arafat Mustafa e Selman Hasani), colpevoli di averlo privato della libertà personale, percosso con violenza e segregato, legato in una baracca, per più di un’ora –, Xupai Hu non ha mai ottenuto davvero giustizia. Innanzitutto perché ancora non ha ricevuto i soldi che gli spettano, ma anche perché tanti sono i punti (e i ruoli) rimasti da chiarire, in primis quello degli allora tre carabinieri della stazione di Albiano intervenuti quella sera.
Mai risarciti i 54 mila euro
«Sono passati dieci anni da quel pestaggio, ma dai suoi aggressori Xupai Hu non ha mai ricevuto nulla». Ad affermarlo è l’avvocata Sara Donini, che attualmente difende l’operaio assieme ad altri due lavoratori cinesi, gli unici tre a essersi costituiti parte civile all’interno del processo Perfido, attualmente ancora in corso, ma che ha già portato a condanne definitive e ad accertare l’esistenza di una locale di ’ndrangheta insediatasi a partire dagli anni Ottanta a Lona-Lases e Albiano, in Val di Cembra. Nessun risarcimento nonostante, secondo le sentenze già passate in giudicato nei confronti dei tre aggressori, a Xupai Hu spettino più di cinquantamila euro: i 34 mila euro di stipendi arretrati e i 20 mila euro di provvisionale per i danni fisici subiti. «Purtroppo i suoi aggressori risultano nullatenenti – spiega Donini –, mentre per quanto riguarda gli arretrati, risulta impossibile notificare il precetto alla società Balkan Porfidi degli allora titolari Durmishi e Hasani». Questo perché, ancora nel marzo del 2015, nel pieno svolgimento dell’indagine post pestaggio, gli allora aggressori e titolari della Balkan Porfidi cedettero la propria società a un cittadino cinese sulla carta residente a Boscoreale (Napoli), ma in realtà già cancellato a settembre 2014 dall’anagrafe poiché irreperibile da mesi. «L’unica speranza di Xupai Hu di ricevere almeno una parte di ciò che gli spetta sta dunque nel processo Perfido – spiega ancora la legale –, vale a dire nella condanna già definitiva di Saverio Arfuso», ritenuto dalla Procura di Trento, e ora anche dai giudici, l’elemento di collegamento tra la locale cembrana e la casa madre calabrese. Secondo la prima sentenza Perfido, a ognuno dei tre operai costituitisi parte civile spetta infatti un risarcimento di 30 mila euro che dovrebbe essere loro garantito dal Fondo nazionale per le vittime dei reati di tipo mafioso (visto che anche Arfuso risulta nullatenente).
Il ruolo dei carabinieri
Mai chiarito in questi dieci anni è poi il ruolo degli allora carabinieri della stazione di Albiano: il comandante Roberto Dandrea e i militari Nunzio Cipolla e Fabrizio Alfonso Amato. Tutti e tre sono imputati nel cosiddetto troncone 2 di Perfido, quello che riguarda politici, amministratori locali, funzionari dello Stato e faccendieri. L’accusa nei loro confronti è di concorso nei reati di omissione di soccorso aggravata dall’abuso dei propri poteri e in violazione dei propri doveri; omessa denuncia dei reati di sequestro di persona e lesioni gravi con l’aggravante di aver agito al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa operante a Lona-Lases; e favoreggiamento personale nei confronti dei tre aggressori. Quella sera, infatti, giunti in zona Dossi-Grotta, Cipolla e Amato ammanettarono e portarono in caserma (invece che in ospedale) Xupai Hu, omettendo invece di accertare, né in quel momento né in seguito, le responsabilità di Mustafa, Hasani e Durmishi. Il comandante Dandrea è inoltre imputato, questa volta anche con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, per un altro episodio svoltosi con modalità analoghe: l’azione punitiva da parte dagli attuali imputati di Perfido Innocenzio Macheda e Mario Giuseppe Nania nei confronti di alcuni giovani, il 2 agosto 2015 sempre in località Dossi-Grotta. «Il massimo della prescrizione per questi reati è sei anni, anche aggiungendo un quarto per le interruzioni, siamo già fuori tempo massimo: in dieci anni non siamo riusciti a portare a termine nemmeno il primo grado, i reati contestati saranno dichiarati prescritti», commenta la legale. Ma perché si è aspettato tutto questo tempo? «Non posso commentare le scelte del tribunale, ciò che di certo lascia perplessi è il buco di due anni tra il pestaggio a fine 2014 e l’avvio dell’indagine Perfido nel 2017 in cui è confluita anche la posizione dei tre militari – risponde Donini –. Di fatto per due anni è stata ignorata la posizione dei carabinieri. Eppure nella sentenza di condanna dei tre aggressori la situazione era già chiara tant’è che non sono state svolte indagini successive sui militari: quando i carabinieri arrivarono sul piazzale, trovarono “una persona dai tratti orientali, visibilmente bagnata, seduta su una sedia, che presentava una vistosa ecchimosi a uno zigomo, il labbro tagliato, e con le mani legate con una corda ma ancora cosciente”. Cos’altro serviva per procedere?».
Il ruolo degli altri soggetti
«Tutta la vicenda era già stata minuziosamente ricostruita nell’esposto denuncia consegnato il 5 maggio 2016 dal compianto avvocato Giampiero Mattei alla Procura – aggiunge il portavoce del Coordinamento lavoro porfido (Clp) Walter Ferrari che per primo si è fatto carico della vicenda –. Lì è ricostruito il ruolo quantomeno ambiguo di una serie di soggetti che in questi anni non sono stati nemmeno interrogati. Penso al volontario della Stella Bianca allertato dal maresciallo e intervenuto inspiegabilmente prima del 118; così come non è mai stato audito, nonostante la richiesta della pm, tale Franco Bertuzzi dal cui cellulare, con utenza intestata alla sua ditta, durante l’aggressione partirono continue telefonate e messaggi a Mustafa. Per non parlare degli amministratori comunali di Lona-Lases e Albiano: nessuno ha mai sentito il bisogno di stigmatizzare quei fatti, anzi: si è arrivati a nominare Mustafa rappresentante di lista al seggio per la lista del candidato sindaco di Lona-Lases Roberto Dalmonego nel 2018 (oggi imputato nel troncone 2 di Perfido, ndr), pochi giorni dopo la conferma della condanna in appello».