L'indagine

domenica 13 Ottobre, 2024

Braccianti, la denuncia: «Quattordici ore di lavoro, paga minima»

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Baselga di Piné, raccolta di piccoli frutti, gli stagionali «Il datore di lavoro ci chiede 4mila euro per i permessi di soggiorno». La «segnalazione di sfruttamento in agricoltura» di Flai Cgil, indaga la Guardia di Finanza

«Fino a 14 ore di lavoro al giorno», piegati a raccogliere piccoli frutti nei campi di Baselga di Piné da mattina a sera, spesso senza godere di pause e riposi. E senza che quella montagna disumana di ore risultasse in busta paga e fosse quindi interamente retribuita. «Alcuni lavoratori risultano assunti con regolare contratto ma remunerati con cedolino paga e bonifico solo per una minima parte delle reali ore di lavoro svolto» aveva riportato il 9 agosto scorso la Flai Cgil del Trentino nella «segnalazione di sfruttamento in agricoltura» rivolta a Commissario del Governo, Guardia di Finanza, Carabinieri, Inps provinciale e Ufficio Ispettivo del Lavoro. Un documento relativo a quanto avevano denunciato alla Federazione lavoratori agroindustria e all’Ufficio immigrati della Cgil Trentino alcuni braccianti stranieri che lavoravano in due aziende agricole di Miola di Baselga di Pinè, con sede allo stesso indirizzo, su cui sta facendo accertamenti la Guardia di Finanza di Trento, in particolare riguardo ai rapporti di lavoro e alle varie posizioni (vedi Il T di ieri ndr).
«Tolti 100 euro per l’affitto»
Ma non è tutto perché, sempre secondo quanto denunciato dai braccianti — uno di quali, per il sindacato, «senza nessun contratto» — lo stipendio veniva decurtato di ulteriori voci. C’erano infatti «trattenute di cento euro mensili pro capite per l’alloggio in stanze dove i lavoratori dormono anche fino a sei persone». A quanto appurato da militari e vicesindaco «stipati in spazi ristretti, in ambienti con cumuli di rifiuti in putrefazione e cattivo odore». Un’abitazione che il Comune ha dichiarato inagibile con specifica ordinanza che prevedeva anche lo sgombero e il ripristino delle condizioni igienico sanitarie.
«Soldi per i documenti»
E non è tutto perché — circostanza inquietante se venisse confermata — ci sarebbero state anche «richieste di quattromila euro da parte dei datori di lavoro per la conversione di permessi di soggiorno» si legge ancora nella segnalazione della Flai Cgil, che ha chiesto di verificare la presenza di lavoratori irregolari in Italia. Insomma, i migranti reclutati tra Nigeria, Marocco, India e Pakistan, arrivati in Trentino grazie al «Decreto flussi», confidando in una regolarizzazione, in un lavoro per riuscire a mantenere la famiglia in patria, avrebbero dovuto anche sborsare soldi, e non pochi, per ottenere un titolo idoneo a rimanere sul nostro territorio. Almeno questa è la loro versione. Una quarantina i braccianti identificati e sentiti dalla Guardia di Finanza di Trento nell’ambito di un’articolata attività ispettiva (al momento di natura amministrativa). I militari hanno acquisito da questi informazioni in ordine all’effettiva natura del rapporto di lavoro, alle caratteristiche delle prestazioni svolte e alle condizioni lavorative. Così da ricostruire le singole posizioni, il rispetto delle condizioni previste, e verificare appunto la sussistenza di eventuali irregolarità giuslavoristiche, di eventuali violazioni (come della normativa relativa al soggiorno degli stranieri in Italia) o di fenomeni tali da ipotizzare condotte più gravi, con risvolti penali, quali lo sfruttamento del lavoro o caporalato.
«Le istituzioni intervengano»
Ad ipotizzare l’eventuale sfruttamento e caporalato è stata la stessa segreteria generale Flai Cgil del Trentino nella segnalazione di agosto. «La situazione descritta, oltre a richiedere l’intervento diretto del sindacato, a nostro avviso necessita dell’intervento degli organi istituzionali al fine di verificare anche la presenza di episodi di sfruttamento riconducibili al reato di caporalato, nonché la presenza di lavoratori senza regolare permesso di soggiorno per i quali valutare la possibile regolarizzazione come previsto dalle norme previste nei casi di grave sfruttamento». Di qui la richiesta di un intervento delle istituzioni.