L'editoriale
sabato 19 Novembre, 2022
di Pejman Abdolmohammadi
«Azadi», è la spinta ideale e il sentimento che da più di tre mesi sta animando la protesta antigovernativa più importante in Iran dopo la rivoluzione del 1979. Centinaia di migliaia di iraniani stanno scendendo nelle piazze e nelle strade, sfidando la repubblica islamica allo scopo di garantirsi un futuro migliore improntato alla libertà e al pluralismo politico e culturale.
La miccia che ha scatenato il movimento di protesta, è stata l’uccisione della giovane ragazza Mahsa Amini, che ha perso la vita, il 13 settembre scorso, mentre era in stato di arresto della polizia etica. Era stata fermata perché avrebbe violato il codice di abbigliamento islamico, imposto dalla repubblica islamica a tutte le donne iraniane. Secondo questo codice etico, tutte le donne dovrebbero indossare l’hijab ovvero il velo islamico. Una norma etica che è stata, sin dagli anni Ottanta, contestata da una nutrita parte della popolazione femminile, ma che è rimasta comunque in vigore per circa 41 anni. Il velo imposto alle donne, che prima del 1979, sotto la monarchia di Mohammad Reza Shah Pahlavi, avevano la libertà di scegliere il loro codice di abbigliamento, in realtà, rappresenta uno strumento di controllo sociale esercitato dallo Stato. In altri termini, il velo è un simbolo ideologico di dominio della repubblica islamica, esercitato nei confronti dei suoi cittadini, seguendo le leggi sul controllo delle masse codificate un secolo fa da Edward Bernays (Propaganda 1928) e poi applicate da Joseph Goebbels e da molti autoritarismi del secolo scorso. Almeno da due decenni, le nuove generazioni iraniane, che in buona parte criticano queste limitazioni alla libera scelta, hanno sempre meno rispettato tale codice. Molte donne, soprattutto ragazze, da anni indossano un foulard, coprendo solo parzialmente i capelli. Questo, con lo scopo preciso di comunicare il loro dissenso nei confronti di questa imposizione, una sorta di resilienza che ha caratterizzato per molti anni il movimento di protesta degli iraniani nei confronti del sistema islamico al potere.
Da tre mesi però la musica è cambiata. Non siamo più di fronte a una resilienza, ma bensì a una resistenza/rivoluzione culturale, guidata principalmente dalle donne e dai giovani che chiedono libertà e laicità. Si tratta della cosiddetta generazione «Z» ovvero i millennial iraniani, nati dopo il 2000, che rappresentano circa il 61 percento di una popolazione di 84 milioni di individui. Questi giovani hanno sfidato vari simboli ideologici della repubblica islamica, tra cui il velo e il turbante. E si è transitati a un passo successivo, il velo lo hanno tolto e continuano a uscire nelle strade senza, mentre, da poche settimane, è nata una forma di protesta nota come il «saltaturbante» o la «cleroterapia» che consiste nell’avvicinarsi al clero sciita, nelle strade, e poi, con un colpo della mano, gli si fa saltare il turbante. Nel momento dell’azione, spesso condotta da un giovane, il complice lo filma e poi diventa un video clip virale. Così la nuova generazione esprime la sua rivoluzione culturale nelle strade delle città iraniane. È una generazione non ideologica che, a differenza dei nonni, che fecero la rivoluzione, non trova simpatia né nell’islam politico né nel comunismo. È un movimento nazionale, patriottico, trasversale, dal momento in cui non distingue tra grandi città e piccoli centri urbani e nemmeno tra le varie regioni dell’Iran. Insomma, tutti uniti per un futuro di libertà.
Il costo di questa libertà però è molto alto. Secondo Iran Human Rights, fino ad oggi, circa 350 manifestanti sarebbero stati uccisi, di cui 50 sotto i 18 anni, mentre una decina di migliaia di persone sarebbero state arrestate. La classe dirigente della repubblica islamica non sembra voler fare un passo indietro e concedere qualcosa, per paura di perdere tutto. Anche perché le richieste di questa protesta sono radicalmente opposte al dna islamico della repubblica e quindi ogni forma di marcia indietro potrebbe sancire la fine del regime. Infatti la repubblica islamica ha oscurato, da più di 55 giorni, la rete internet in tutto il Paese allo scopo di contenere la comunicazione dei cittadini con il mondo e di evitare che si creasse un network tra i rivoluzionari.
Pochi giorni fa, 227 deputati ultraconservatori del Parlamento, anch’esso islamico ed eletto con una importante preselezione dell’élite dominante, ha chiesto alla magistratura di condannare, con la pena capitale, i protestatari/rivoluzionari, suscitando critiche e indignazione sia della società iraniana che della comunità internazionale. Al momento almeno tre di questi giovani sono stati condannati a morte e le sentenze di morte potrebbero aumentare. La repressione della polizia antisommossa e dei paramilitari continua nelle strade, anche in queste ore, e si rischia uno scontro sempre più forte nell’intero Paese.
L’Iran è un attore molto importante, sia per gli equilibri del Medio Oriente e del Mediterraneo, sia per il grande gioco in corso tra Washington e Pechino. Il suo futuro sarà fondamentale anche per noi in Europa – non a caso c’è stata una significativa mobilitazione dell’opinione pubblica che ha coinvolto anche il Trentino – , in questa grande transizione per il riassetto degli equilibri globali.
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