L'INTERVISTA

lunedì 18 Novembre, 2024

Isabelle Quellier, erede degli Alberti-Poja: «Rovereto ha perso la sua brillantezza ma ci voglio tornare»

di

Violoncellista, sposata con un principe africano, gira il mondo per lavoro. Nella città della Quercia ha deciso di comperare un rifugio dalla vita frenetica parigina. Proprio accanto alla residenza per cui i suoi avi si indebitarono

Il berretto giallo con visiera, a proteggere la carnagione chiara da un sole ottobrino ancora insolente, le dona un’aria scanzonata da parigina in vacanza; aria che, per la verità, le spetta di diritto, dal momento che Isabelle Quellier, musicista di rango (di violoncello e viola da gamba), a Parigi abita veramente. Si dà il caso, però, che sia anche discendente, per linea materna, dei nobili Alberti-Poja (la bisnonna era Elena Alberti Poja), casato di vescovi, consoli e notai a cui dobbiamo uno dei palazzi più raffinati della città (voluto dal conte Francesco Alberti-Poja e dalla moglie, baronessa Eleonora Piomarta e progettato da Ambrogio Rosmini, zio del filosofo), costruito nel 1778 su Corso nuovo grande, alias Corso Bettini, che oggi fa parte del Polo museale del Mart. Classe 1961, Quellier è anche nipote di Rolanda Polonsky, meravigliosa scultrice, musicista e mistica dalla vita infelice. Ha deciso di intervallare i febbrili ritmi parigini e la vita da concertista che la porta in giro per il mondo, rimettendo radici nella terra degli avi, visto che ha da poco acquistato casa proprio in Corso Bettini, di fronte al vecchio palazzo di famiglia. Moglie di un principe africano, Francis Prince-Agbodjan (tanto per non smentire le origini) è madre di Léonard, socio nella gestione di una brasserie parigina, e Raphaël, modello. Ha sempre la valigia in mano e nel Trentino era già approdata con grande gioia per i concerti organizzati dal soprano Anna Baldo, dall’amico Giuliano Eccher, docente di viola da gamba al Conservatorio di Bolzano, e da Romano Vettori. Questa volta a riportarla in città non sono i concerti, né la casa da arredare, ma la mostra dei quadri di suo padre che Roberta Bonazza ha curato nella Casa degli artisti di Tenno (visitabile fino al 6 gennaio).
Prima di tutto cosa l’ha spinta, da Parigi, a comprare casa proprio davanti al palazzo dei bisnonni: desiderio di tornare a casa?
«Mah, tornare forse no, ma certamente passerò le estati a Rovereto. Qui, del resto, mia sorella Ariane, ballerina classica, amica di Maria Grazia Torbol con cui ha fatto tante tournée, ha vissuto per 15 anni, ha due figli, Sébastien ed Estelle Pinna. Poi ha sposato un australiano… così ho pensato di sostituirla io. Scherzi a parte, nella vita ci sono leggi misteriose che attraggono. Qua ho tanti amici e Rovereto mi è sempre piaciuta; è una piccola città, riposante, soprattutto in estate quando si vuota. Diciamo che è la mia chance. Poi, è così vicina al più bel lago d’Italia. Certo, la ricordo quando era molto più brillante, oggi la trovo un po’ spenta».
Palazzo Alberti Poja oggi è della comunità, un po’ le dispiace?
«No, non dimentichiamo che aveva fatto indebitare la mia famiglia. Con la seconda guerra mondiale, quando era diventato eccessivamente oneroso, è stato venduto e nonna Isabella Teresina Alberti Poja si è ritirata a vivere in via Sticcotta, nell’antica limonaia interna alla tenuta, trasformata in abitazione. Lì la famiglia non si fermò molto, però, perché poi scelsero di andare a vivere a Firenze. Se ci fossero stati i mezzi, avrei preferito che Palazzo Alberti rimanesse proprietà della famiglia, ma è andata così».
Lei ha conosciuto la nonna?
«Certo, noi abitavamo in Francia, ma a Rovereto tornavamo ad ogni vacanza; ricordo che mia madre andava volentieri alla Fenice di Venezia in compagnia dell’ultimo discendente dei Grillo».
La sua è una dinastia di artisti che parte da lontano: musicista era anche sua madre, Elena Polonska, e pittore suo padre, André Quellier.
«Sì, mamma si era diplomata in pianoforte a Bolzano e in arpa a Firenze. Papà faceva parte dei pittori di Saint Tropez. Vivevamo a Montmartre dove siamo rimaste fino al 2010, quando morì papà. Poi ci siamo trasferite vicino a Parigi. Ma si può dire che io sia rimasta montmartroise nell’anima».
A Tenno si sta tenendo una mostra bellissima con i 245 oli su tavola con cui suo padre ha ricostruito le illustrazioni che attraverso i secoli hanno accompagnato le edizioni di favole di Jean de La Fontaine.
«Davvero, è una collezione di alto pregio artistico, ma anche filologico, per la quale mio padre ha ricostruito anche le illustrazioni a china che fece Jean Baptiste Oudry, pittore di corte di Luigi XV, andate purtroppo disperse nel mondo».
Artista era anche la nonna, ultima esponente dei conti Alberti Poja, per via di madre.
«Sì, nonna Isabella, figlia della contessa Elena Alberti Poja e dello scrittore Thomas Bailey Saunders, era nata in Inghilterra. Era cantante soprano, scrittrice di fiabe, pittrice e incontrò suo marito, Piotr Polonsky, ucraino, a La Scala di Milano dove insegnava canto, essendo baritono. Ebbero tre figlie, mamma Elena, Rolanda e Gabriella».
Sua madre ha scritto una autobiografia.
«Negli ultimi anni di vita, suonava meno e su insistenza di Mariano Andreolli e di Anna Baldo, cari amici, si decise a fissare sulla carta i ricordi. È stata una fortuna perché così ci ha consegnato pezzi di storia familiare, di Rovereto, dei concerti dell’epoca. La biografia inizia con il racconto di lei bambina che in pieno inverno, di prima mattina, corre alla finestra del palazzo in cui viveva e della cui maestosità non poteva rendersi conto. Ad attirarla ogni giorno era il passo cadenzato dei buoi che tiravano un carro. Maestoso e rassicurante, definisce quel passo, in qualche maniera musicale, tanto affascinante da farla uscire dal suo “caldo letto rosso” a cui tornare subito dopo».
Qualche altro aneddoto?
«Era il tempo in cui a Rovereto si festeggiava l’anno nuovo con il Bleigießen, una tradizione germanica per la quale si fondeva un po’ di piombo in un cucchiaino e lo si gettava nell’acqua fredda. La forma che il metallo avrebbe preso in seguito allo shock termico avrebbe rivelato qualcosa del futuro. In un altro passo mamma ricorda come il pianoforte di casa, il “bel Blüthner”, fosse scampato per miracolo alla guerra; racconta dei cugini de Tarczal, parenti per via delle bisnonne di mamma, e di un prozio, Aldo Alberti Poja, che si occupava di finanza sotto l’imperatore Francesco Giuseppe, dei viaggetti sulla Peugeot di famiglia guidata dall’autista Oscar, visto che nonna non guidava, e dei pranzi a cui le tre sorelle dovevano fare bella figura e avere buone maniere».
Tra contesse e begli ufficiali, castelli ungheresi, parentele eccellenti, fantasmi leggendari, letture e giochi, governanti e cuoche indulgenti che preparavano i Kakao-Brötchen, nel Palazzo roveretano la vita passava tranquilla. Perché si trasferirono a Firenze?
«Per fornire alle tre ragazze adeguata preparazione, ha scritto mamma. A Firenze comunque si divertirono tanto, un cocchiere le portava ai balli in una carrozza chiusa e foderata di seta azzurra e prendevano lezioni di danza spagnola da Kira Nyjinskaya, la figlia del celebre ballerino russo Nijinsky, celebre per i Balletti russi di Diaghilev».
Può trovare cinque parole per una genealogia interessante e complicata come la sua?
«Direi viaggio, lotta, passione, arte, amore».
Come finire senza ricordare colei che più ha lasciato il segno in città con la sua arte, i suoi tormenti, il suo bisogno di purezza?
«Rolanda era sensibile, delicata, era una vera artista. Leggeva, scriveva, creava, pensava in continuazione… forse tutto era troppo per la mente e alla fine ha ceduto. Non dimentichiamo che aveva solo 19 anni quando espose alla Galleria Fiorentina con artisti come de Pisis e de Chirico. Dopo si apriranno le porte della casa di cura psichiatrica di Londra; da allora ad accompagnarla saranno soprattutto le sue visioni (o intuizioni) religiose e una grande sofferenza intima. Negli ultimi anni siamo riuscite a trasferirla a Rovereto, nella casa di soggiorno Tacchi».